In battaglia quando l'uva è matura

L'Afghanistan come non è mai stato raccontato, non solo deserto ma anche verdi vallate e vigne rigogliose, tra uno straordinario libraio analfabeta e il giovane emigrato genio dei robot applicati alle neuroscienze

Il cuore di Kabul è espropriato, circondato da alte mura, telecamere, reticolati, vietato agli afgani, riservato agli stranieri e agli uffici governativi. In cielo grandi palloni lenti e silenziosi come animali da preda sorvegliano la vita delle persone. Sullo sfondo valli ricche di verde e di acqua, pianure arse e pietrose. L'Afghanistan, così, non è mai stato raccontato.

All'aeroporto di Kabul grandi cartelloni colorati, in lingua inglese, danno il benvenuto 'nella terra degli uomini coraggiosi'. Forse è l'unica iscrizione autentica, voluta dalle autorità afgane, in mezzo ai riti della sicurezza imposti dagli occidentali dentro quell'edificio. È un avvertimento più che una garanzia, il proclama che lì non abita gente docile. La tradizione ricorda che questo paese da secoli è l'orgoglioso e turbolento 'cimitero degli imperi', o meglio degli eserciti imperiali. Dopo oltre trenta anni di macerie l'Afghanistan è un mondo dissociato tra aquiloni e kalashnikov, tra giardini segreti curati con amore e attentati brutali, continui, tra vendette tribali e nevrosi del mondo digitale. Per la burocrazia internazionale qui sei afgani uccisi possono valere come due pecore. Nel carcere di Kandahar i prigionieri si sono cuciti da soli le labbra per protestare contro le guardie corrotte. Qui lo stesso commando americano che ha catturato Bin Laden, l'élite del primo esercito al mondo, ha perso parte dei suoi uomini in un attacco dei talebani malnutriti e malvestiti. Ma nelle valli del Badakhshan altri integralisti non hanno mai sfiorato sessanta nuove scuole femminili. A Kabul un libraio analfabeta ha salvato libri introvabili, e oggi un giovanissimo profugo afgano studia in Europa i robot applicati alle neuroscienze.

Queste pagine raccontano senza pregiudizi storie di vita autentiche e inattese, ambientate in un paese che avremmo voluto conoscere da tempo. Finiremo per ammalarci di mal d'Afghanistan, malattia più contagiosa e attuale del mal d'Africa.

Valerio Pellizzari, giornalista e scrittore, ha viaggiato come inviato nell'est europeo, nel Maghreb, ma soprattutto in Asia, dal Medio Oriente fino alla Corea del Nord. È stato testimone dei maggiori avvenimenti in quella vasta regione dalla fine degli anni Sessanta. Ha conosciuto molti personaggi chiave e straordinari protagonisti oscuri. Già inviato speciale per "Il Messaggero" ed editorialista per "La Stampa", ha collaborato con "International Herald Tribune", "Libération", "El País", BBC, Al Jazeera. In Afghanistan è arrivato per la prima volta nel 1974 e da allora vi è tornato regolarmente. In questo paese ha messo le radici più profonde.

Valerio Pellizzari
In battaglia, quando l'uva è matura
Quarant'anni di Afghanistan

Laterza 2012 - pp. 244  - € 18 (via internet € 15,10 - ebook € 10,99)

Domenica, 3. Marzo 2013
 

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