Pierre Carniti, Antonio Lettieri, Paolo Sylos Labini, Gino Giugni, Bruno Trentin, Giorgio Benvenuto, Giorgio Ruffolo, Tiziano Treu, Ermanno Gorrieri, Franco Marini, Umberto Romagnoli, Gian Primo Cella, Mario Colombo, Luigi Bobba, Carlo Clericetti, Mario Rusciano, Guido Rey
UN REFERENDUM SBAGLIATO
Il referendum per decidere se abolire o no la soglia di 15 dipendenti nellapplicazione dellarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è idoneo a risolvere alcun problema e rischia, anzi, di crearne di nuovi.
Se, infatti, la risposta al quesito referendario fosse Si, si determinerebbe un quadro normativo sostanzialmente inapplicabile. La situazione organizzativa, i rapporti interpersonali e psicologici nelle aziende piccole e piccolissime sono oggettivamente diversi rispetto a quelli che caratterizzano le aziende maggiori. E anche gli strumenti di tutela debbono tenere conto di questo diverso contesto. Peraltro, contrariamente a una diffusa ma non corretta interpretazione, nemmeno nelle aziende fino a 15 dipendenti è oggi possibile licenziare senza giusta causa o giustificato motivo. Infatti, la legge 108 - varata nel 1990 con la pressione ed il sostegno unanime del movimento sindacale - lo vieta. Ma proprio per tener conto della specificità delle piccole e piccolissime imprese, sono previste una disciplina e una procedura diverse rispetto a quelle delle aziende maggiori. E ovvio che tutte le norme sono il prodotto della storia e possono perciò cambiare con il mutare del contesto. Eventuali aggiustamenti o correttivi, per essere davvero efficaci, dovrebbero tuttavia essere attivati con iniziative, strumenti e soluzioni appropriate.
Se, al contrario, la risposta al quesito referendario fosse No, essa potrebbe equivalere a negare lesistenza di un problema che invece si pone. Siamo, infatti, in presenza di un diffuso e profondo cambiamento delle forme del lavoro. Al tradizionale lavoro standardizzato e continuativo si accompagnano e sempre più si sostituiscono forme atipiche ed intermittenti di lavoro. Il lavoro salariato (di otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, per tutta la vita) tende ad essere progressivamente sostituito da lavori precari, atipici, discontinui, provvisori, che necessitano di appropriate misure di tutela per ridurre una condizione di crescente insicurezza economica e sociale.
Proprio per queste ragioni il referendum non può risolvere nulla. Daltra parte, è impossibile dare risposte giuste a domande sbagliate. Noi riteniamo perciò che sia frutto di un equivoco lidea che si possa assicurare una più efficace tutela al lavoro che cambia illudendosi, e illudendo, che sia possibile trovarla con improbabili semplificazioni referendarie. Questo giudizio trova costante conferma nellesperienza storica dei lavoratori. I concreti passi in avanti, nella tutela e nel riconoscimento dei diritti del lavoro sono sempre stati il prodotto di conflitti, di sperimentazioni consensuali, di norme condivise. Nella storia del lavoro, le soluzioni contrattuali e legislative davvero efficaci non sono mai nate da sussulti occasionali o da iniziative estemporanee, ma sempre dallimpegno allazione, al dialogo, allo scambio, al negoziato.
La nostra contrarietà al referendum del 15 giugno nasce quindi dalla convinzione che esso muove da un assunto sbagliato e fuorviante. Perciò, di fronte ad un quesito referendario che non può avere alcun esito positivo, la nostra ferma convinzione è che la posizione più responsabile e coerente sia quella della non partecipazione al voto. Astensione dalla partecipazione non come rinuncia, ma come scelta attiva, accompagnata dallimpegno a operare sul terreno legislativo e contrattuale per la predisposizione delle tutele necessarie affinché il lavoro in tutte le sue forme sia riconosciuto, protetto, valorizzato.
Pierre Carniti, Antonio Lettieri, Paolo Sylos Labini, Gino Giugni, Bruno Trentin, Giorgio Benvenuto, Giorgio Ruffolo, Tiziano Treu, Ermanno Gorrieri, Franco Marini, Umberto Romagnoli, Gian Primo Cella, Mario Colombo, Luigi Bobba, Carlo Clericetti, Mario Rusciano, Guido Rey
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