Nella mia qualità (termine che nella mia condizione può essere scritto e letto con buona dose di ironia!) di lavoratrice precaria e part-time del Ministero per i Beni e le Attività culturali, e di delegata sindacale della categoria, ormai da otto anni in attesa di stabilizzazione, ma con alle spalle una storia di precariato a vario titolo e con diverse forme contrattuali presso lo stesso ministero dal lontano 14 settembre 1983, ho letto con grande attenzione l'articolo di Massimo Roccella, condividendolo in toto nell'analisi e nelle amare considerazioni conclusive.
Ho una natura che, forse allenata dai miei studi sulla civiltà egiziana antica - circa 5000 anni di storia considerando le fasi formative della civiltà faraonica - si è abituata a guardare i fenomeni come processi e che, forse rafforzata da ormai ben 28 anni di precariato - quasi una vita lavorativa passata "in equilibrio sul filo" - si è abituata a guardare in modo disincantato la realtà che ne deriva, ma a cercare sempre delle soluzioni nei momenti più critici.
Mi sono fatta perciò l'idea che tanto le paradossali posizioni della signora Bonino, tanto l'approccio generale dei "governanti" italiani, poco conta se di destra o sinistra, alla normativa comunitaria rappresentino solo il sintomo ormai evidente di un fenomeno da sempre riservato al mondo "marginale" - di carattere terzomondistico - che ormai da tempo investe anche noi, rendendoci, con la complicità di politici come
Si chiama "raschiare il fondo", giustificando con lo scaricabarile (la normativa europea interpretata ad uso e consumo) il nuovo "fascismo economico", che c'è ancora come organizzazione economica della società e che, come ha ben detto Roccella, aspira a ritornare "regime di governo" (governo poi! e de che?). Il dramma vero è che il fenomeno è trasversale. Non c'è formazione politica che non ne contenga i germi e gli "infetti", non c'è diga vera, che non sia costruita sulla sabbia, ed ecco che i programmi stentano a tradursi in atti normativi e di governo.
La mia lunga appartenenza al terzo o quarto mondo interno ad un paese "sviluppato", mi ha abituato a non arrendermi mai contro le aggressioni delle economie dominanti e dei gruppi sociali privilegiati. Non si può escludere nulla, nè l'azione sulla politica, nè il ricorso al confronto delle parti sociali, che pure si cerca di ridurre, mortificare, demolire; ma comincio a pensare che se la norma viene invocata a giustificazione dell'ingiustizia sociale è sul piano della norma e della tradizione giuslavoristica che bisogna contrattaccare: se non si riesce a partire, come si dovrebbe in realtà, da una visione rinnovata dei valori che salvi quelli che meritano di essere salvati, cominciamo a trovare punti fermi nel diritto, imparando per prove ed errori ad incanalare nella giusta direzione, anche nel nostro paese, l'uso dei nuovi strumenti giuridici e formali che l'integrazione europea ha prodotto.
Certo nessun individuo può, da solo, fare ciò, ma chi, come la redazione di E&L e i suoi collaboratori muove la propria attività sulla scorta di una lunga ed affermata tradizione di competenza ed impegno, potrebbe promuovere non più solo informazione e dibattito, ma un gruppo di studio con l'obiettivo di individuare e difinire concretamente, cioè configurandolo in proposte di legge, un nuovo approccio alla cultura giuridica europea nel campo dei diritti, del lavoro della tutela sociale, che pongano un limite certo alla eccessiva fluidità delle interpretazioni e offrano punti certi, anche in fase di ristrutturazione permanente e di accelerazione dei mutamenti economici e sociali, per la costruzione di un nuovo piano di consistenza dei valori e dell'azione politica e sindacale in questo campo.
Non so se questa proposta possa essere accolta, ma mi sento di avanzarla perchè leggere ed informarsi non serve a nulla se non si cerca, ciascuno come può, di tradurre la teoria della pratica in pratica della teoria.
Con l'occasione, ringrazio
Cordiali saluti
Rita Di Maria - delegato CISL lavoratori precari Museo Archeologico Nazionale di Napoli