Anche il sindacato si globalizza

Dal congresso della Cisl internazionale in Giappone una serie di proposte, ma anche iniziative concrete, per far fronte ai gravi problemi che la nuova economia crea ai lavoratori e alle loro organizzazioni
Il 18° Congresso della CISL Internazionale che si è chiuso la settimana scorsa a Miyasaki in Giappone ha rappresentato un importante verifica delle difficoltà del sindacalismo nel mondo contemporaneo ma, e questo è rilevante, ha cercato di dare delle risposte positive con una strategia non banale. È questa la novità da evidenziare. Questi appuntamenti, per la vastità ed etereogenità delle forze sindacali rappresentate, rischiano sempre di essere inconcludenti sul piano politico. Spesso i documenti approvati finiscono presto nel dimenticatoio. La burocrazia dei sindacati nazionali poi macina queste occasioni ripiegandosi immediatamente sui problemi domestici. Rimangono gli impegni bilaterali che queste occasioni d'incontro producono e consolidano.
Lo slogan del Congresso "globalizzare la solidarietà" alla fine è risultata una proposizione addirittura riduttiva.
È stato detto nel Congresso che la globalizzazione è malata perché esaspera le conseguenze negative del disequilibrio tra la forza del capitale e quella del lovoro. Le violazioni dei diritti umani e sindacali sono una enorme macchia nera che, insieme alle guerre, a partire da quella dell'Iraq, rappresentano un'incognita negativa per il futuro delle relazioni tra popoli e all'interno della stessa società globale. A questo si deve aggiungere la sostenibilità ambientale del modello di sviluppo attuale e le difficoltà che si incontrano a una sua seria revisione critica. Il sindacalismo, che si pone come forza positiva rispetto ai problemi sopra enumerati, pur rappresentando la più grande forza organizzata della società civile a livello globale è sottoposto a crescenti difficoltà organizzative e di rappresentatività.
E questo in conseguenza in primo luogo di una crescita inarrestabile della cosiddetta "economia informale". Essa caratterizza la grande maggioranza delle economie dei paesi in via di sviluppo (PVS) ed è in crescita sia nei paesi in transizione che negli stessi paesi industrializzati. Il sindacato non ha ancora trovato strategie adeguate per sindacalizzare questo ambiente dove sono presenti sia l'estrema fluidità dei rapporti di lavoro che l'arbitrio che regola il rapporto tra datori e prestatori di lavoro. Insieme a ciò, la crescita della cosiddetta "economia della conoscenza" sta avvenendo senza che il sindacato sia in grado di rappresentarne significativamente i lavoratori che vi sono impiegati.
Questa forbice, se si dovesse divaricare ulteriormente, rischia di ridurre la rappresentanza del sindacalismo a livello globale. Essa inoltre è anche posta in difficoltà dai modelli macroeconomici imposti dal Fondo Monetario Internazionale che influenzano perfino gli assetti del diritto del lavoro e, attraverso questi, la stessa libertà di contrattazione.
Come è stato detto efficacemente dall'intervento del Segretario Generale del sindacato sudafricano COSATU i lavoratori si iscrivono al sindacato non perché sentono dei bei discorsi ma se sperimentano che esso è uno strumento efficace per la tutela dei loro salari e delle loro condizioni di lavoro oltre che dei loro diritti. Questa utilità, che è poi essenzialmente la possibilità data dalla libertà di agire, è messa in discussione in modo violento e subdolo. La libertà sindacale rappresenta la componente fondamentale di quella asimmetria nei rapporti di forza della quale si parlava all'inizio di questo scritto.
A questo stato di cose il 18° Congresso dello ICFTU (così è l'acronimo delle iniziali in lingua inglese della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi fondata a Londra nel 1950) ha cercato di dare risposta attraverso la delineazione delle caratteristiche di un nuovo internazionalismo sindacale. Esso anzitutto dovrà essere imperniato su di un nuovo rapporto tra le diverse rappresentanze sindacali esistenti nell'ambito della ICFTU. In essa convivono non solo i sindacati nazionali affiliati (oltre 200 in 130 paesi) ma anche i sindacati internazionali di categoria, le cosiddette Global Union Federation - GUF - (metalmeccanici, insegnanti, edili, ecc.) che sono centri autonomi di iniziativa e che molto spesso hanno preceduto nella fondazione di molti decenni la stessa ICFTU.
A queste articolazioni hanno corrisposto politiche e prassi sindacali spesso autonome se non in contrasto fra loro. L'avvio di una prassi di coordinamento delle varie rappresentanze è già iniziata ma dal Congresso è emerso un nuovo impegno a tradurre questa prassi in una vera e propria strategia con ruoli specifici per ciascuna rappresentanza. Ci sono delle resistenze che si sono espresse nel corso del Congresso. Nell'ambito delle Global Union i metalmeccanici della IMF (International Metalworker Federation) sono apparsi i più restii ad accettare l'idea di una prassi stabile di lavoro coordinato: al contrario della internazionale degli insegnanti (Education International - E. I.). Certo non sarà un lavoro facile per Guy Ryder, confermato Segretario Generale dell'ICFTU, ma ha dalla sua la straordinaria necessità di una strategia unificante per la ICFTU e il consenso delle grandi confederazioni dei cinque continenti.
Indubbiamente un fattore importante di successo potrà essere rappresentato da una migliore sinergia tra il livello nazionale e internazionale. Purtroppo fino ad oggi le politiche sindacali confederali hanno avuto come orizzonte lo stretto ambito nazionale. La dimensione internazionale entrava poco nel modo di fare sindacato di tutti i giorni. Anzi negli ultimi tempi, di fronte a politiche aggressive del padronato, come lo spostamento di produzioni in paesi più convenienti per minor costo del lavoro, si sono visti comportamenti difensivi concretizzatisi in accordi di concessione per impedire la cosiddetta delocalizzazione.
Ebbene proprio la nuova fase di internazionalizzazione delle imprese, di cui la delocalizzazione è una componente, necessita che nei comportamenti quotidiani il sindacato pensi ed operi con questa dimensione. Innanzitutto potenziando i coordinamenti sindacali tra le imprese transnazionali. Per quanto riguarda l'Unione Europea sono stati costituiti più di 650 CAE (Comitati Aziendali Europei) che sono sostenuti da una specifica direttiva dell'U.E. Così come a livello globale sono più di 30 gli accordi realizzati dai GUF per la costituzione di comitati sindacali nelle multinazionali per un totale di 3 milioni di lavoratori rappresentati.
Si tratta di dare nuovo impulso sia estendendo ulteriormente queste attività che qualificandone meglio l'operatività. In questo senso è necessario passare dai diritti di informazione all'attività contrattuale vera e propria. In primo luogo agendo sull'estensione dei diritti sindacali, sia di organizzazione che di contrattazione, rendendoli omogenei in tutte le unità produttive. Per questo c'è bisogno di una iniziativa più incisiva delle Global Union Federation per rendere obbligatorie, con la contrattazione, le linee guida per le multinazionali definite in sede OCSE.
Come è necessario potenziare le attività di cooperazione internazionale, soprattutto quelle rivolte alla crescita dei sindacati nei paesi in transizione e in quelli di nuova industrializzazione e nei PVS. È intollerabile che ci siano 50 milioni di lavoratori (la maggioranza donne) che operano nelle fabbriche collocate nelle cosiddette "aree franche" dove non esistono diritti e dove lo sfruttamento e l'arbitrio caratterizzano i rapporti di lavoro. La debolezza dei sindacati nei paesi dove sono presenti questi insediamenti industriali, ad esclusivo beneficio delle multinazionali, impedisce di agire con la forza necessaria.
L'altro punto di iniziativa coordinata indifferibile tra sindacati nazionali e rappresentanze globali (ICFTU e GUF) è rappresentato da situazioni patologiche sia nazionali che tematiche. È impressionante che la Cina sia ammessa al WTO (World Trade Organization) mentre non rispetta i diritti umani (trattato di Helsinki) né le convenzioni sui diritti sindacali fondamentali definiti dall'OIL. La Cina è un paese in grande sviluppo caratterizzato da uno sfruttamento dei lavoratori ai quali si negano diritti fondamentali e che operano in condizioni di lavoro assolutamente intollerabili. Situazioni diverse, ma che hanno gli stessi risvolti, ci sono in Birmania, Colombia, Vietnam, per citare i paesi dove più grave è l'assenza dei diritti per i lavoratori e per i sindacati e dove sono presenti le forme più abbiette di sfruttamento dei lavoratori.
Nell'ambito del potenziamento dell'attività del sindacato a livello globale, del suo rafforzamento organizzativo e della rappresentanza, si colloca l'avvio del processo di convergenza tra le due più importanti organizzazioni internazionali, la ICFTU (forte di 148 milioni di aderenti, e la Confederazione Mondiale dei Lavoratori (CMT), di ispirazione cristiana, con 20 milioni di iscritti. Le due confederazioni hanno deciso - e in questo senso ha deliberato il Congresso della ICFTU - di dare vita ad una nuova confederazione aperta anche all'adesione di sindacati nazionali che ora non sono aderenti a nessuna delle due confederazioni.
È un fatto importante, si può dire veramente storico, per le vicende che questa decisione chiude e per le prospettive di crescita della rappresentatività di cui il sindacalismo potrà godere. Con questa accresciuta rappresentatività il sindacato oltre a diventare sempre di più un soggetto globale potrà esercitare un ruolo più incisivo nella domanda di cambiamento che è la caratteristica della fase politica che attraversa il pianeta. Mai come in questi tempi la società civile ha dato dimostrazione di voler contare nelle scelte che investono il mondo. La guerra prima in Afganistan e poi in Iraq e il terrorismo hanno scosso le coscienze e i movimenti per la pace hanno mobilitato milioni di persone. I movimenti e le organizzazioni che si ritrovano nel Social Forum Mondiale reclamano un "altro mondo è possibile!". Scricchiola il "Washington consensus" e molti sostengono che è già morto.
Cresce una domanda di "governance" mondiale e con essa la necessità di riformare, per renderli funzionali a un ruolo diverso ed in linea con questa domanda, le grandi agenzie multilaterali: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Internazionale del Commercio, Organizzazione Internazionale del Lavoro. Su questo orizzonte la società civile si dovrà misurare nei prossimi anni. Di questa società civile globale il sindacato è l'organizzazione più rappresentativa e con strumenti assolutamente originali e che possono determinare quei mutamenti nei rapporti di forza economici che più possono incidere su quelli politici. Inoltre può esercitare quelle azioni politiche dirette che possono creare le condizioni per i cambiamenti.
È stato più volte citato nel Congresso come motivo di sprone per prendere le decisioni il bivio di fronte al quale si trova il sindacalismo contemporaneo: cambiare o essere ridimensionato dai cambiamenti. La strada scelta è quella del cambiamento: l'auspicio è che tutti siano conseguenti.
Giovedì, 30. Dicembre 2004
 

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