Al federalismo serve la programmazione

Può rendere efficace la politica economica, influenzando il grado di ricettività della finanza territoriale rispetto alle scelte strategiche: se gli enti locali sono sinergici accrescono gli effetti positivi, altrimenti li riducono. Ma c’è bisogno di staff tecnici adeguati e di ministri non improvvisati

La tesi che ci proponiamo di dimostrare si articola nei seguenti quattro punti: il federalismo fiscale e il ritorno al passato; la programmazione come strumento per conciliare le conflittualità centro-periferia e per realizzare lo sfruttamento sinergico delle economie di scala e di diversità; la qualità e l'addestramento richiesti allo staff tecnico; la qualità della classe politica atta a dirigere la politica programmatoria.

 

Per quanto concerne il primo punto abbiamo altre volte rimarcato la peculiare caratteristica di questo governo, consistente nel volgere sistematicamente lo sguardo verso il passato, come quei dannati dell'Inferno dantesco, costretti a piangersi sulle spalle (Canto XX, versi 1-18): paradossalmente, pena riservata agli indovini e ai maghi, che in termini moderni possono assimilarsi agli illusionisti mass-mediatici. Ciò si verifica puntualmente a livello di Comuni per il progetto di federalismo fiscale, che sembra ricalcare la struttura della finanza locale prima della riforma Visentini. Con una differenza non di poco conto. Il progetto attuale riserva ai Comuni, oltre alla compartecipazione al gettito di imposte dirette o indirette nazionali, quello di tasse collegate con la proprietà immobiliare, con aliquote di norma non progressive. Nella finanza locale pre-Visentini figurava un'imposta sui redditi, con livelli impositivi discriminati qualitativamente a seconda che il reddito imponibile originasse da puro lavoro, capitale e lavoro insieme, o soltanto da capitale. E, udite udite!, le aliquote sulle rendite erano nettamente superiori rispetto a quelle applicate sui redditi da lavoro.

 

Non è facile prevedere quali forme concrete sotto il profilo economico assumerà il federalismo nella formulazione dei decreti attuativi dopo il passaggio, tanto temuto dalla Lega, sotto le forche caudine delle Commissioni. Alcuni particolari hanno poco di economico e molto di politico. Ad esempio il Centro e la Sinistra sembrano privilegiare il ruolo dei Comuni per lo stretto collegamento con i cittadini e il territorio, mentre la Lega punta molto a livello regionale, prefigurando forse il controllo politico di tutte o quasi le grandi Regioni settentrionali ed un risveglio delle mai del tutto sopite bramosie secessioniste.

 

Qualunque sia la struttura che assumerà, il federalismo ci è stato presentato come un mezzo per contrastare le presunte inefficienze della burocratizzazione centralistica. Tutti gli osservatori consapevoli sanno che si tratta di una colossale mistificazione, ampiamente dimostrata dal fatto che i maggiori ladrocini, clientelismi, inefficienze sono fioriti negli ultimi anni (anche al Nord) a livello locale. Comunque, se il disegno verrà realizzato, come riteniamo (a meno di un imprevedibile stop), nascerà il problema-chiave di trovare uno strumento atto a conciliare le conflittualità economiche tra centro e periferia, nonchè a ridurre al minimo le duplicazioni di interventi, per evitare la dispersione di risorse. Questo strumento, secondo me, non può che essere costituito dalla resurrezione della programmazione nazionale e territoriale, preceduta da un dibattito scientifico e tecnico analogo a quelli che caratterizzarono gli anni '60. A questo dibattito potrà partecipare una pubblica opinione certamente più acculturata di allora, se non risulterà totalmente anestetizzata dalle notizie sulle vicende di George Clooney e Fabrizio Corona o dai ripetitivi proclami dell'on. Capezzone.

 

La programmazione può rendere efficace la politica economica, nel quadro della Ue e della globalizzazione, influenzando il grado di ricettività della finanza territoriale rispetto alle scelte strategiche. I localismi, infatti, possono risultare sinergici, accrescendo gli effetti positivi o antagonisti, riducendoli.

 

L'armonizzazione degli obiettivi e, in una certa misura, anche degli strumenti operativi (come osserverebbero gli autori dei versi in onore di Monsieur de La Palisse) è molto più facile a livello progettuale di medio e lungo periodo che quando le scelte si stanno già realizzando. Dato il dinamismo degli eventi e l'accelerazione delle perturbazioni della storia si tratterà di una programmazione flessibile, dotata di alberi delle decisioni che compongano uno spettro di alternative al mutare delle circostanze interne ed esterne al sistema.

 

Nella determinazione degli interventi compensativi da finanziare con il costituendo fondo perequativo regionale ed anche per un'eventuale riconsiderazione in chiave di benessere dei costi standard, non si potrà non riesumare dai fatidici anni '80 l'artiglieria dell'analisi costi-benefici. Tale metodo di analisi consente di valutare gli effetti di interventi pubblici riguardanti aspetti del benessere collettivo, come scuole, sanità, infrastrutture di base. I criteri di mercato risultano inadeguati, perchè indifferenti rispetto alle iniquità sociali e infraterritoriali. E' un congegno molto delicato, perchè manipola grandezze "stimate"; e lo stesso tasso di interesse che figura nei calcoli previsionali non coincide con quello di mercato, ma al più si collega con il tasso netto di rendimento dei Bot, e cioè con il costo a cui il settore pubblico si approvvigiona di risorse finanziarie. La programmazione e l'analisi costi-benefici sono, quindi, strumenti difficili da governare. Lo stesso arco temporale è interrotto dall'alternarsi delle legislature. Per realizzare un'efficace programmazione a medio termine occorrerebbe o la continuità politica per più legislature, o una visione comune fra maggioranza e opposizione su alcuni fondamentali obiettivi e strumenti.

 

La difficoltà della complessa gestione di un meccanismo che comporta anche la previsione di catene di eventi richiede un'alta qualità e un buon addestramento dello staff tecnico. Ne discende la conclusione che il metodo dello spoil-system va abbandonato. Le sue conseguenze negative erano già apparse in alcuni settori. In altri, come l'Agenzia delle Entrate, l'ottimo livello dei dirigenti ha consentito avvicendamenti senza scosse. Infatti - anche se l'opinione pubblica viene tenuta scrupolosamente all'oscuro - i meccanismi di controllo dell'evasione stanno ritornando, passo dopo passo, esattamente quelli di Visco-Dracula.

 

Questo staff tecnico di alto livello non godrebbe però dell'autorità necessaria per armonizzare politiche economiche conflittuali, senza il supporto di un'adeguata dirigenza politica. In altre parole, i titolari dei dicasteri-chiave debbono saper gestire una macchina complessa. Qui si tocca un tasto dolente. Negli ultimi anni o forse decenni, si è diffusa una vulgata secondo la quale sembrava preferibile affidare la titolarità dei ministeri a persone provenienti dalla cosiddetta società civile. Il sottostante slogan "uno come noi" o "uno di noi" rientrava nelle banalità del populismo imperante. Occorre contestare radicalmente questa tesi. Odontotecnici, periti industriali, avvocaticchi e persino imprenditori non possono svolgere in modo appropriato il ruolo di guida degli staff tecnici dei ministeri, se non si vuole correre il rischio di decisioni o improvvide e casuali o condizionate dai suggerimenti interessati delle lobbies e degli stessi tecnici. La professione di ministro è di gran lunga più difficile di quella di imprenditore o avvocato ed i suoi effetti - positivi o negativi - possono essere molto superiori. Non a caso nei paesi bene ordinati, sin dall'epoca degli antichi romani, si giungeva alla guida di un dicastero dopo un lungo "cursus honorum". All'epoca della prima repubblica una classe politica di questo tipo ha trasformato in poco più di un decennio un paese semi-agricolo distrutto dalla guerra in un paese industriale.

 

Senza programmazione il federalismo è una scommessa perduta; ma una programmazione gestita in modo inadeguato è anch'essa un gioco a perdere.

Lunedì, 10. Gennaio 2011
 

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