Addavenì un Principe

Si credeva che la globalizzazione avrebbe completamente esautorato gli Stati nazionali, ma gli ultimi sviluppi mostrano che non è così. L'Italia sembra tra i pochi a non averlo compreso: ci sarebbe bisogno di una classe dirigente che riscopra il ruolo che può avere il nostro paese

I grandi temi toccati, durante la recente assemblea della Banca d’Italia, dal governatore Mario Draghi, nonché la vasta eco delle sue considerazioni finali soprattutto a proposito della globalizzazione finanziaria, forse suggeriscono di cercare alcuni approfondimenti propedeutici ad una riflessione complessiva sulla situazione delle nostre democrazie. Nessuno, infatti, sembrava dubitare del fatto che la globalizzazione degli anni passati – tutta incentrata sulla rincorsa competitiva ad abbassare i costi di produzione e restringere i ruoli degli Stati nelle economie – avrebbe finito per sacrificare un po’ di democrazia; poi c’era chi si stracciava le vesti per tale situazione e chi, invece, preconizzava un’era di modernizzazioni, se non – addirittura – il travaso dei diritti verso i Paesi di più recente industrializzazione, una volta che si fosse esaurita la spinta distruttiva di una competitività selvaggia e insostenibile nel tempo e per l’ambiente.

Da qualche anno a questa parte, invece, molte cose sono cambiate e molte profezie – come al solito – non si sono realizzate. Il sistema finanziario internazionale ha continuato a produrre nuovi strumenti che, via via, servissero a mantenere credibili le promesse degli emittenti nei confronti dei risparmiatori, più o meno ignari; ogni tanto la Borsa subiva colpi disastrosi…ma subito ecco nuovi derivati e “hedge funds” capaci di restituire speranze ai sottoscrittori e a far respirare chi, impegnatosi in precedenza sul terreno della valorizzazione dei capitali, si sarebbe rivelato come il classico “venditore di fumo”.

A questi operatori conferiremo i nostri TFR ed i nostri versamenti previdenziali poiché il principio della diversificazione del portafoglio suggerisce di non trascurare nessuna delle sirenette finanziarie presenti sulla superficie del globo, terremare comprese, visto che è proprio su paradisiache isolette – come le Cayman – che avvengono le operazioni più promettenti e le uniche capaci di compensare le perdite con l’emissione di nuovi titoli a rendimenti crescenti che, in seguito, mancheranno le loro promesse ma non la caratteristica di innescare altre emissioni di effetti sedicenti monetari, capaci di alimentare la cosiddetta catena di S. Antonio a livello mondiale: così funzionano gli hedge funds e la finanza dei derivati i quali controllano le banche che, a loro volta, emettono credito – vale a dire moneta – che poi riaquisiscono sia attraverso il pagamento dei mutui da parte delle famiglie, sia facendo sottoscrivere ai propri clienti polizze e fondi miracolosi.

Questa è la globalizzazione finanziaria e tutto si risolverebbe in un classico crack se la situazione non fosse, questa volta, molto più complicata del solito: Cina, India, Russia, Paesi Arabi possiedono quantità talmente ingenti di dollari e Buoni del Tesoro americano che, se i mercati ne fossero invasi, in breve tempo condurrebbero il valore di un dollaro a 4 centesimi! I citati Paesi, tuttavia, al momento non hanno interesse a creare un danno del genere agli USA che, peraltro, potrebbero sottrarvisi emettendo nuovi dollari contenenti – ad esempio – una quantità infinitesimale di qualche metallo prezioso (il cui valore andrebbe alle stelle, ma a chi importerebbe di un’inflazione colossale di fronte all’estremo tentativo di salvataggio di un impero agonizzante?).

In questa fase, le tre locomotive dell’economia mondiale (Russia, India e Cina) possono, quindi, permettersi di trattare da pari a pari con la Superpotenza perché quest’ultima è sotto il loro ricatto monetario; non c’è da stupirsi, quindi, che altri Paesi – della stessa America Latina – per la prima volta dopo le quasi bicentenarie dichiarazioni di Monroe possano permettersi un’autonomia dagli USA impensabile anche solo dieci anni fa.

Soprattutto l’Italia tra i Paesi europei sembra non accorgersi del cambiamento che è avvenuto e accettare di impostare le cosiddette  privatizzazioni nonché le grandi fusioni bancarie e assicurative oggi, previdenziali domani, in un’ottica di esautorazione dei governi e dello Stato, in nome di una malintesa modernizzazione che, invece, richiederebbe, forse, una rivalutazione del buon Machiavelli e del suo Principe: abbiamo bisogno di uno Stato che riscopra la funzione internazionale dell’ Italia – quanto meno come snodo tra Nord e Sud del mondo  - e, forse, come dimostrano le esperienze di Francia, Germania, Russia, Cina e via dicendo anche di un Principe, di una classe dirigente moderna che sappia rimettere l’essere umano ed il bene comune al centro della politica restituendo le banche, le imprese industriali e gli altri importanti soggetti sociali ed economici ai loro ambiti di competenza.

Venerdì, 6. Luglio 2007
 

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