C'è un cuneo che è un pezzo di salario

Una recente statistica europea mostra che i salari lordi italiani sono sotto la media. La differenza si riduce se si considera il costo del lavoro: il motivo è che da noi c'è sempre stata attenzione alle forme di salario differito e prestazioni simili. Una cosa da tener ben presente nel momento in cui si parla di un taglio: se si incidesse su quella parte, dovrebbe andare a vantaggio dei lavoratori
Un paio di mesi fa (per l'esattezza il 3 maggio scorso) l'Eurostat ha pubblicato uno studio sulle retribuzioni europee nei settori dell'industria e dei servizi. Lo studio (fatto su dati relativi al 2002) consente alcune considerazioni. Intanto: i Paesi dell'Europa del Nord sono quelli in cui si guadagna di più, mentre in quelli del Sud e dell'Est si guadagna di meno. In testa alla classifica europea delle retribuzioni si trovano i Paesi scandinavi. In Norvegia la retribuzione media annuale (lorda) è  di 42.475 euro pro-capite. La Danimarca ha una media di 41.376 euro. Seguono i paesi anglosassoni: Regno Unito con 39.538 euro; Irlanda con 32.912. In coda ci sono diversi paesi dell'Est europeo: la Polonia con 7065 euro; la Slovacchia con 5708; la Romania con 2321; la Bulgaria con 1884. La media delle retribuzioni lorde nei 25 Paesi europei è di 28.024 euro.  Sotto la media stanno. L'Italia con 25.808 euro; la Spagna con 21.063; la Grecia con 18.751; il Portogallo con 13.609. Sopra la media si collocano invece: la Francia con 29.139 euro e la Germania con 34.662.

Lo studio Eurostat offre inoltre utili informazioni sulle disuguaglianze retributive interne a ciascun Paese. La cosa che balza agli occhi è che le minori differenze si registrano nei Paesi scandinavi, che sono quelli con le retribuzioni più elevate, mentre le differenze  più consistenti si evidenziano nei Paesi con le retribuzioni più basse. Sarebbe utile capire di più e meglio la relazione tra questi due aspetti. Vale a dire se siano le retribuzioni basse ad incoraggiare  maggiori disuguaglianze nella distribuzione del reddito tra i lavoratori dipendenti. Oppure se, al contrario, sia l'acquiescenza verso sempre più consistenti diseguaglianze a favorire bassi salari medi.

Infine, il dato relativo al salario medio dell'Italia consente un paio di osservazioni sull'attualità. La prima. Le retribuzioni italiane sono basse. Siamo addirittura sotto la media dell'Europa a 25 e questo è un problema che prima o poi andrà affrontato. Naturalmente, meglio prima che poi. La seconda è che nel caso dell'Italia esiste una differenza tra la classifica europea delle retribuzioni lorde e quella del costo del lavoro. Per quanto riguarda il costo del lavoro occupiamo infatti una posizione meno arretrata.
 
La spiegazione è abbastanza semplice. Nella tradizione contrattuale italiana, assieme alle dinamiche retributive, è sempre stata rivolta una significativa attenzione anche al salario differito, alla contribuzione previdenziale, od a quella per prestazioni sociali mutualistiche. Tutti aspetti tenuti ben presenti nella distribuzione contrattuale dei costi ed, in ogni caso, riconducibili alla quota di reddito attribuita al lavoro dipendente.
 
Ora, come sappiamo, nei propositi del governo è previsto un intervento di "riduzione del cuneo fiscale". Ma poiché non è ancora chiaro se si tratterà propriamente di un intervento sul "cuneo fiscale", oppure sul "cuneo contributivo", non guasterebbe un chiarimento preliminare circa la attribuzione del beneficio relativo. Infatti, se si dovesse decidere per la riduzione del "cuneo contributivo" è evidente che l'operazione dovrebbe essere fatta interamente a vantaggio dei salari. Perché, in caso contrario, invece di una riduzione del "cuneo fiscale" si finirebbe per ridurre immotivatamente la quota del reddito del lavoro dipendente. Operazione sconveniente. Non solo per ragioni sociali, ma anche economiche.
Martedì, 18. Luglio 2006
 

SOCIAL

 

CONTATTI