Apprendisti poco protetti e rischio per l'Inps

Si irrobustisce un canale di accesso al lavoro per i giovani, ma saranno necessari alcuni interventi. Il contratto nazionale, per restare uno strumento fondamentale di solidarietà, ha bisogno di coraggiose innovazioni
Proporrò alcune considerazioni sul contratto dei metalmeccanici, a qualche giorno di distanza dall'esito ben noto e dunque al riparo da emozioni immediate, con il pensiero rivolto al futuro.
 
Cominciamo dall'aumento salariale. Bisogna tener conto innanzitutto che la cifra di 100 euro è stata raggiunta grazie al prolungamento di 6 mesi della vigenza dell'accordo. Il contributo di questi 6 mesi è quantificabile in 16/17 euro, per cui il risultato sul biennio è di 83/84 euro (la richiesta in piattaforma era di 105). Le clausole previste nell'accordo collegano l'intero aumento all'inflazione, superando i vincoli di quella programmata, ma legando l'intera cifra alle regole del conguaglio che si calcolerà nel prossimo rinnovo, come è previsto nell'accordo del luglio 1993. L'intero aumento è pari al 6%; da esso va sottratto lo 0,9% dovuto al conguaglio per il biennio precedente; il restante 5,1% sarà confrontato con l'inflazione reale dei 30 mesi di durata dell'accordo per definire i conguagli positivi o negativi.

L'impianto è uguale a quello dei due precedenti accordi separati, che superarono anch'essi il valore dell'inflazione programmata, ma vennero vincolati alla regola del conguaglio. Non c'è dunque distribuzione di produttività negli aumenti dei minimi. Ricordo che questo obiettivo fu all'origine dei due accordi separati: firmando il presente accordo, la Fiom accetta nei fatti un'impostazione che in passato aveva duramente contestato.

C'è invece distribuzione della produttività nella cosiddetta "seconda cifra", pari a 130 euro che verranno distribuiti nel giugno 2007 ai lavoratori privi di contrattazione aziendale e di superminimi. Non siamo all'indennità di mancata contrattazione aziendale, che avevamo richiesto in piattaforma, ma comunque a un riconoscimento significativo sul piano politico dei problemi economici dei lavoratori con bassi salari, che andrà consolidato nel prossimo rinnovo normativo con l'introduzione di uno specifico istituto salariale in busta paga.
 
Veniamo ai contenuti normativi. La richiesta iniziale di Federmeccanica di uno scambio tra aumenti salariali ed estensione degli orari flessibili plurisettimanali è stata respinta a favore di uno scambio tra maggiore flessibilità degli orari e minore utilizzo dei contratti atipici. Nell'accordo questa scelta non ha prodotto risultati normativi definitivi, ma un impegno programmatico delle parti su entrambi i temi che prevede l'istituzione di una specifica commissione di lavoro. Questi due temi restano di grandissima attualità, sia perché la maggiore flessibilità è una esigenza sempre più "oggettiva" come conseguenza dell'imprevedibilità della domanda del mercato, sia perché la limitazione del precariato è un obiettivo irrinunciabile per un sindacalismo che vuole continuare a ispirarsi alla solidarietà.
 
L'accordo sull'apprendistato amplia e irrobustisce un canale di ingresso al lavoro per i giovani nettamente migliore rispetto sia ai vecchi contratti di formazione e lavoro che al ricorso alle assunzioni a tempo determinato. L'impegno formativo è strutturale, anche se il numero e la qualità delle ore di formazione previste sono da migliorare; la loro definizione è stata pesantemente condizionata dalla scarsa sensibilità delle controparti, che proponevano quantità di formazione più basse e una più netta prevalenza di formazione "on the job" con i relativi rischi di ambiguità. Ma si è dovuto anche fare realisticamente i conti con la insufficiente capacità di offerta del sistema formativo italiano, che va sollecitato, anche attraverso accordi come questo, a una adeguata modernizzazione.

Vista la maggiore durata del contratto di apprendistato, va affrontata insieme al governo e all'Inps la mancata copertura per questi lavoratori degli interventi per malattia e degli ammortizzatori sociali. Resta infine un pesante dubbio su quanto incideranno sui bilanci dell'Inps gli sgravi contributivi a favore delle aziende. È infatti realistico pensare che in breve tempo si raggiungerà una quota di apprendisti attorno al 10% sul totale, con un'equivalente riduzione delle entrate contributive del fondo pensioni.
 
Osservando ora il comportamento delle controparti, quello di Federmeccanica è stato condizionato ancor più che nel passato dalle differenti esigenze delle aziende grandi e piccole nonché dalle differenti specificità dei tanti comparti produttivi che rientrano nell'area contrattuale metalmeccanica. Ciò rafforza la necessità, già prevista nel contratto del 2003, di definire norme specifiche e differenziate per comparto produttivo, in particolare sui temi dell'orario e dell'inquadramento professionale (che saranno i punti chiave del prossimo rinnovo).

Ma a queste condizioni "oggettive" si è aggiunto un pesante scontro politico tra due concezioni delle relazioni con il sindacato. Da un lato c'è chi ha pensato a un contratto di basso profilo o addirittura a impedirne il rinnovo, perché ispirato da un'idea conflittuale per la quale, grazie anche alla difficile situazione economica, sarebbe giunto il momento per dare una lezione al sindacato e ridimensionarne ulteriormente la capacità di rappresentanza, anche a costo di far diventare il contratto nazionale una sorta di manuale archeologico anziché valorizzarlo come strumento utile alla regolazione dei rapporti tra capitale e lavoro. Dall'altro lato c'è chi crede nella utilità e nel valore strategico di relazioni costruttive con il sindacato, basate sul riconoscimento reciproco della pari dignità degli interessi rappresentati dalle parti e crede nella possibilità di riformare il contratto nazionale per mantenerne l'utilità come strumento di modernizzazione della vita delle imprese.

Ha vinto la seconda impostazione, che fa capo al presidente e al direttore di Federmeccanica, ma solo i prossimi anni ci diranno se siamo di fronte a una svolta irreversibile, e ciò dipenderà anche dalla capacità del sindacato di superare definitivamente una logica di resistenza per assumere un ruolo propositivo, che parta dalla necessità di rappresentare un'area più vasta di lavoratori (a partire dai più deboli e dai più poveri) e sappia fare i conti con i cambiamenti prodotti dalla globalizzazione e dalla continua riorganizzazione delle imprese.
 
La mobilitazione dei lavoratori è stata importante, anzi decisiva. Vanno rifiutate le "prediche" sulle forme "esagerate" di lotta degli ultimi giorni: in situazioni estreme come quella nella quale ci siamo trovati (il rischio di non rinnovare il contratto era molto alto), i confini di ciò che è legale non coincidono sempre con quelli di ciò che è giusto. La rabbia dei lavoratori era giusta, e il sindacato ha fatto bene a essere con loro, anzi alla loro testa.

Occorre però anche una riflessione disincantata sul fatto che gli scioperi hanno un effetto di pressione inferiore al passato. Ciò vale in particolare per gli scioperi tradizionali a pacchetti di ore. Ben più efficace si è dimostrata la forma di sciopero delle flessibilità, cioè l'indisponibilità a lavorare di sabato. In ogni caso la bassa partecipazione alle lotte degli impiegati, dei lavoratori delle piccole fabbriche e dei giovani precari è un fattore oggettivo di indebolimento, che deve spingerci a una riflessione.
 
Si è parlato di una assenza della politica dalla vicenda. La mia opinione è che, per certi versi, questa assenza è stata un elemento positivo: Fim, Fiom e Uilm hanno dovuto fare il contratto contando solo sulle proprie forze e capacità, e questo è un bene per l'autonomia del sindacato e della contrattazione. Se poi guardiamo il problema chiedendoci quanto pesano nell'elaborazione dei partiti e dei programmi elettorali i temi del lavoro, il bilancio si fa più incerto. Da un lato i mass-media esprimono un'attenzione morbosa agli aspetti scandalistici (vedi caso Unipol) o istituzionali (vedi nuova legge elettorale), continuando così a rappresentare gli uomini politici come lontani dai problemi della gente. Dall'altro lato, però, a una lettura non superficiale si può scorgere una crescente attenzione, in particolare da parte del centro-sinistra, a costruire proposte interessanti sulla crisi industriale, la giustizia fiscale, il rapporto tra salario e inflazione, il mercato del lavoro.
 
Infine, il destino del contratto nazionale è nelle nostre mani. La posizione di chi da un lato lo definisce uno strumento per garantire i diritti minimi e, dall'altro, propone la sua derogabilità in peggio, è palesemente contraddittoria. Infatti un diritto minimo è per definizione inderogabile.

Si potrebbe semmai discutere se i minimi dei contratti italiani (in termini sia salariali che normativi) non siano troppo elevati. Ebbene, da questo punto di vista i confronti internazionali ci danno una risposta rassicurante: abbiamo salari bassi e normative sufficientemente flessibili.

In ogni caso il contratto nazionale va riformato perché su capisaldi chiave - quali l'orario di lavoro, l'inquadramento professionale e la formazione - risente ancora troppo delle condizioni di un sistema industriale che non c'è più. Potrà rimanere uno strumento fondamentale di solidarietà se sapremo introdurre coraggiose innovazioni su questi temi, costruendo un nuovo equilibrio tra norme-quadro nazionali e deleghe di compiti a livello aziendale e/o territoriale. L'appuntamento del prossimo rinnovo normativo è da questo punto di vista una sfida decisiva.
Mercoledì, 8. Febbraio 2006
 

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