Edilizia pubblica, la casa che non c'è

Basta confrontare la situazione di Parigi con quella di Roma per constatare l'assoluta mancanza di una politica degli alloggi pubblici in Italia. E se Berlusconi fa promesse demagogiche, il centro sinistra finora ha fatto ancora meno
Il presidente della Repubblica francese, Jacques Chirac, ha rivolto nelle settimane scorse un discorso alla nazione riguardante la rivolta delle periferie, prendendo nella sostanza le distanze dalla linea del ministro degli interni Nicolas Sarkozy, di pura e semplice difesa della legalità, esigenza peraltro ribadita anche da Chirac, ma accompagnata dal riconoscimento della necessità di attivare azioni di recupero del disagio sociale, che è alla base della rivolta.
 
Oltre alle belle parole, arte nella quale Chirac è maestro, sono state tirate fuori due idee progettuali:
- costituire un'agenzia, a base essenzialmente volontaristica, ma con il necessario sostegno di finanziamenti pubblici, con il compito di animare azioni di formazione e di sostegno sociale da attuare nelle periferie delle città;
- indirizzare i Comuni ad avvicinarsi al 20% sulla disponibilità totale di alloggi, di alloggi sociali, intesi all'utilizzo da parte delle categorie più disagiate, che è un obiettivo di legge in Francia.
 
Nel seguito svilupperemo il secondo di questi temi, nella convinzione che, sia l'avvertimento di Prodi, giusto ma inesplicabilmente apodittico (dobbiamo temere che qualcosa di simile alla rivolta in Francia si verifichi anche in Italia), sia il queta non movere di Beppe Pisanu (nulla del genere può accadere in Italia, che ha solo il problema del terrorismo)  costituiscano parole troppo generiche per accontentarsene.
 
Che questo della disponibilità di abitazioni, in affitto ed a prezzi inferiori a quelli di mercato, soprattutto nelle periferie delle città, sia un problema centrale anche in Italia, lo conferma l'uscita, apparentemente estemporanea, di Berlusconi, su un programma di edilizia sociale che la destra potrebbe lanciare tra i temi forti della prossima campagna elettorale. La demagogia del presidente del consiglio è senza confini, ma bisogna riconoscergli la capacità di afferrare al volo le questioni che coinvolgono l'opinione pubblica e maggiore perspicacia di quanto abbiano dimostrato altri esponenti del governo, come si può dedurre da tre posizioni emerse nei giorni della rivolta dlele banlieues.

- la prima, di Pisanu, che pretende che il problema delle periferie in Italia non esista;
- la seconda dell'ineffabile consigliere economico Renato Brunetta, che ha proposto di liquidare, vendendolo ai locatari, il poco che resta del patrimonio pubblico di proprietà degli IACP (53.000 alloggi su 15.500.000 a livello nazionale, secondo i dati del censimento 2001);
- la terza, di consiglieri non meglio identificati, che hanno fatto precisare successivamente allo stesso Berlusconi, che l'impegno della destra sarà limitato a collocare da qualche parte gli sfrattati, cioè la piccola parte clamorosamente emergente del disagio sociale, questione, quella degli sfratti, peraltro non limitata alle periferie, né sempre connessa con  situazioni effettive di disagio sociale.
 
Ma andiamo per ordine, fissando le idee sulle due maggiori città a confronto: Parigi e Roma, aree metropolitane dove gli ordini di grandezza sono tuttavia diversi, nell'ordine di oltre dieci milioni di residenti nella prima e di poco più di tre milioni nella seconda.
 
Prima di tutto qual è la situazione in Francia: all'ultima rilevazione disponibile (2002), nella regione Ile de France, che è quella della capitale e di 327 altri comuni in parte partecipi della conurbazione parigina, risiedono 2,2 milioni di proprietari di alloggi e 2,3 affittuari, dei quali ultimi la metà vive in alloggi locati a prezzi di mercato e l'altra metà in alloggi che fanno parte del parco alloggi sociali (hlm - habitations a loyer modéré) e che sono locati a prezzi comunque inferiori a quelli di mercato.
 
Di contro, qual è la situazione a Roma? Nell'ambito del comune il 64% degli alloggi (in totale 1.016.000) sono occupati dai proprietari; al netto di altri titoli di godimento, gli alloggi in affitto sono 288.000, il 28% del totale, di cui 26.000 di proprietà pubblica, che dovrebbero costituire, ma non sempre ciò accade, la quota di alloggi "sociali", il 9% degli alloggi in affitto, il 2,5% degli alloggi totali. Se si allarga la valutazione all'intera provincia di Roma le proporzioni non cambiano, se non per una quota di alloggi fruiti dai proprietari ancora maggiore.
 
Quindi le nostre due aree metropolitane a confronto sono molto diverse: a Parigi una fluidità comparabile con il bisogno di mobilità tipica delle metropoli, a Roma tutti proprietari e legati, anche da pesanti ratei di mutui, alla casa di proprietà, come in un grande villaggio.
 
Sono situazioni che si determinano in periodi lunghi, in molti decenni e ci vuole quindi tempo per sanarle, ma, come si suol dire, chi comincia è alla metà dell'opera, ed in Italia non vi è segno neppure di un ripensamento sulla carenza di abitazioni "sociali". In Francia, come in tutti gli altri paesi europei, nessuno escluso se non l'Italia, la costruzione, la manutenzione, la destinazione appropriata ai meno abbienti di un parco alloggi sociali è stata e resta, governi la destra come la sinistra, uno degli impegni costanti e rilevanti della spesa pubblica.
 
Che cosa è invece avvenuto in Italia? Per vent'anni (anni '50 e '60) ha operato la Gescal, ente pubblico che ha costruito tantissime case a prezzi inferiori a quelli di mercato, alloggi destinati ai lavoratori e finanziati pro quota anche dalle imprese. La Gescal è stata abbattuta dal centrosinistra e da allora (ormai fanno più di trent'anni) il declino dell'edilizia pubblica è stato netto, progressivo fino a cifre ridicole. Il parco alloggi pubblici è stato inoltre falcidiato da cicliche campagne di svendita ai locatari in occasione di prove elettorali, messo a concorso e spesso assegnato non ai più bisognosi ma a chi più efficientemente manipolava le dichiarazioni dei redditi, paurosamente carente nella manutenzione tanto da divenire sinonimo di degrado.
 
Se uno guarda alle politiche della casa può solo concludere che l'Italia si meriterebbe non solo una destra, ma anche una sinistra migliori. Ed è venuto il momento per la sinistra di correggere il tiro e di prendere in serissima considerazione la rozza proposta elettoralistica di Berlusconi, che tuttavia di case si intende e infatti sulla costruzione di case ha iniziato la sua parabola di imprenditore di successo, e di controproporre non battute di spirito ma strategie e progetti.
 
Ma vediamo intanto, prima di concludere, quanto sia migliore della nostra la destra francese. L'uscita di Chirac sulle case è basata su un retroterra che dietro l'uscita di Berlusconi non esiste. Nel 2003 il ministero competente ha svolto un'indagine conoscitiva, nota come il rapporto Pommelet, nata dalla constatazione della profonda crisi dell'edilizia nella regione di Parigi (Ile de France), che nell'arco degli anni '90 ha ridotto da 60.000 a 30.000 alloggi il ritmo annuo di costruzione, è stata particolarmente sensibile proprio nell'area metropolitana di Parigi, dove si costruiscono 3 nuovi alloggi all'anno per mille abitanti, mentre nel resto della Francia i numeri corrispondenti variano da 5 a 8, mentre la domanda di abitazioni cresce più rapidamente che altrove.
 
Non è possibile qui riassumere le proposte, numerose ed articolate, con le quali si conclude il rapporto Pommelet, che mira, soprattutto ma non solo, a facilitare la disponibilità dei 5.500 ettari di terreni a proprietà pubblica disponibili per costruzioni nella regione parigina ed a creare una rete di concertazione tra le diverse autorità pubbliche e le collettività locali. E' il metodo che conta: si rileva una situazione di crisi, si attua un'indagine conoscitiva circostanziata, la si rende pubblica, si attuano le indicazioni conclusive.
 
E vediamo anche quanto sia migliore della nostra la sinistra francese. Nel 1975, mentre in Italia si liquidava la Gescal, un libro bianco di iniziativa parlamentare stabiliva il diritto a un'abitazione per tutti., seguito da una legge del 1977 che stabiliva le condizioni di accesso per tutti ai buoni casa, da una legge del 1982 che stabiliva un contratto quadro tra locatori e locatari. Nel 1989 il presidente della Repubblica lanciava un impegno per il recupero del patrimonio abitativo pubblico degradato. Infine nel 2000 una legge ha stabilito l'obiettivo del 20% di alloggi hlm nelle città con popolazione superiore ai 50.000 abitanti ed una legge del 2003 ha creato condizioni di favore per l'investimento privato nell'edilizia pubblica. Nel frattempo è cresciuto il processo di partecipazione e concertazione concretato nel nuovo ordinamento dell'Unione Sociale per l'habitat,  diretta dai rappresentanti degli enti locali territoriali, che nel suo recente congresso di ottobre ha elaborato un set di proposte tese a facilitare l'accesso alla casa.
 
Naturalmente nessuno è perfetto: i quartieri hlm sono spesso risultati, in Francia, ma non solo in Francia, veri e propri ghetti, nei quali si sono sentiti confinati quegli stessi giovani che hanno innescato i recenti disordini, né si può dire che l'accesso alla casa a prezzo agevolato sia di per sé la soluzione di ogni problema sociale.
 
In conclusione, bisognerebbe operare in Italia un poco più seriamente, soprattutto a destra, ma anche a sinistra, su una questione che costituirà certamente un tema coinvolgente della campagna elettorale. Un buon segno viene in questi giorni da CGIL e Caritas di Roma che hanno prontamente rilanciato la questione immigrati/casa, la CGIL sulla base di un'indagine ad hoc sulle condizioni degli immigrati, più di 350.000, la Caritas sulla base delle sue articolate azioni di sostegno.
 
Martedì, 29. Novembre 2005
 

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