I recenti inasprimenti delle norme per gli impiegati scorretti sno un provvedimento populistico che non affronta il problema. Il lavoro della PA è organizzato ancora in modo ottocentesco o simile alla fabbrica fordista, con una deresponsabilizzazione che richiede continui controlli esercitati più sulla forma (la presenza) che sulla sostanza (gli obiettivi del lavoro). Bisognerebbe ispirarsi all'organizzazione delle imprese rpivate avanzate
Grandi clamori, visi dellarme, richieste di pene severissime (non ancora la gogna, ma
) per gli impiegati fedifraghi che timbrano il cartellino anche per i colleghi assenti, secondo una prassi ahinoi diffusa, consolidata e annosa. Il governo non si è lasciato sfuggire loccasione, sincrona con gli sgoccioli della campagna elettorale, per esibire ancora una volta i muscoli: nessuna pietà, cacciata immediata per i rei, pacchie finite.
Naturalmente il presidente del consiglio sa bene che la mera soluzione poliziesca del problema si dimostrerà inefficace, ma tantè: limportante è alzare i toni, far vedere che noi si tira diritto. In buona sostanza si tratta di quello stesso modo di agire populistico che si rimprovera a ogni piè sospinto ai movimenti dellopposizione e che tende a vedere tutta la realtà in bianco e in nero, a dividere lumanità in buoni e cattivi, senza dubbi e incertezze.
Nella fattispecie la questione è invece, al di là delle apparenze e per chi voglia ragionarci sopra con meno emotività, assai più complicata della facile icona negativa del vigile in mutande di Sanremo. Investe infatti e innanzi tutto il modello di lavoro allinterno della Pubblica Amministrazione, ancora largamente dominato da logiche otto-novecentesche, direi quasi fordiste, logiche che prevedono ununiforme linearità dellimpegno lavorativo, una parcellizzazione minuta dei compiti, una diffusa deresponsabilizzazione dei singoli rispetto allobiettivo generale perseguito dall'ufficio, in analogia con quanto avveniva nelle catene di montaggio. È da questa impostazione che nasce la necessità di un controllo punto per punto, sia dello spazio che del tempo, dei processi produttivi, da qui gli strumenti di sorveglianza tipici dei Tempi moderni di chapliniana memoria, dagli odiati "capi" con il cronometro in mano, ai registri delle presenze, alla timbratura dei cartellini, oggi sostituiti dai più tecnologici badge. Nellindustria privata avanzata tutto ciò è oggi solo un ricordo: il lavoro in team è ormai la regola, come pure il coinvolgimento dei lavoratori rispetto ai risultati da ottenere, con la conseguente, possibile articolazione flessibile dellimpegno, a seconda delle esigenze del momento.
Partiamo dai fatti di cronaca: se in un ufficio con un organico di 17 persone ci vuole la Guardia di Finanza per accorgersi che manca regolarmente allappello più del 50% del personale, è evidente che, al di là del giudizio morale sul comportamento dei singoli, non possono non sorgere interrogativi sullorganizzazione generale della struttura. Delle due luna: o il personale è in esubero del 50% rispetto ai compiti affidatigli (cioè a dire, lo stesso lavoro potrebbe essere portato a termine con la metà delle risorse organiche) oppure il lavoro è organizzato in maniera inefficiente, inefficace e quindi diseconomica. Se così non fosse, limpiegato o laddetto non potrebbe assentarsi arbitrariamente dal proprio ufficio, non per ragioni etiche, ma perché si troverebbe nellimpossibilità di farlo, avendo assunto compiti e obiettivi ben commisurati a tempi e a scadenze precise. Ѐ qui il nocciolo del problema. Bisogna porre mano non già a roboanti quanto inutili inasprimenti delle pene per accontentare le numerose e chiassose tricoteuses del nostro Paese, ma a un ripensamento radicale delle forme in cui si opera nella PA.
Qualche anno fa si parlò molto di una dimensione femminile dei tempi di lavoro. Mi pare sia stata una delle tante meteore mediatiche, poi scomparsa nelle oscure superficialità della politica italiana. Bisogna invece riprendere la riflessione su quel tema, che va al di là della caratterizzazione di genere che si è voluto darle, per aprire la strada ad una condizione più produttiva del lavoro impiegatizio, sia per gli operatori che, soprattutto, per i fruitori dei servizi.
In particolare, le nuove tecnologie informatiche, se diffuse e sostenute da reti territoriali ampie e moderne (non è purtroppo ancora il caso dellItalia, uno dei Paesi sviluppati tra i meno attrezzati in questo senso) consentirebbero di adattare meglio le attività alle necessità territoriali e familiari, riducendo gli spostamenti casa-lavoro, flettendo i tempi a seconda delle esigenze degli operatori, senza pregiudicare la qualità del servizio, distinguendo il back office dal front office e utilizzando al massimo il telelavoro, oggi da noi ancora troppo poco diffuso; soprattutto abbandonando lidea di un lavoro lineare, continuo, uniforme (alienato, si sarebbe detto in altri tempi) e introducendo in tutti gli uffici unoperatività per progetto, in cui ciascuna tappa del processo produttivo acquisti un suo senso e disponga degli strumenti necessari al raggiungimento degli obiettivi in un preciso ambito temporale. Ciò consentirebbe al dirigente di essere qualcosa di più di un pastore che deve badare a che il gregge non si disperda, ma gli conferirebbe la piena e verificabile responsabilità dei risultati ottenuti.
Se questa fosse limpostazione, si potrebbero agevolmente abolire i classici controlli del mero tempo trascorso in ufficio, spesso una sorta di black box allinterno della quale non si sa bene cosa succede e, soprattutto, se tutte le unità lavorative, pur fisicamente presenti, operino utilmente ed efficacemente al servizio della comunità. Adattando tempi e modi agli scopi da raggiungere di volta in volta, nella massima trasparenza delle procedure e delle risorse impiegate, non ci sarebbe più nulla di male nel fatto che un impiegato non vada tutti i giorni in ufficio alla stessa ora, per poi uscirne alla stessa ora. La riprovazione nascerebbe solo dal mancato raggiungimento dei risultati previsti. Perché, è bene ricordarlo, si può anche timbrare puntualmente il cartellino in entrata e in uscita e poi trascorrere gran parte del proprio tempo di lavoro a fare altro, senza che questo desti un particolare sdegno nellopinione pubblica. Lo scandalo vero sta proprio qui.
Naturalmente il presidente del consiglio sa bene che la mera soluzione poliziesca del problema si dimostrerà inefficace, ma tantè: limportante è alzare i toni, far vedere che noi si tira diritto. In buona sostanza si tratta di quello stesso modo di agire populistico che si rimprovera a ogni piè sospinto ai movimenti dellopposizione e che tende a vedere tutta la realtà in bianco e in nero, a dividere lumanità in buoni e cattivi, senza dubbi e incertezze.
Nella fattispecie la questione è invece, al di là delle apparenze e per chi voglia ragionarci sopra con meno emotività, assai più complicata della facile icona negativa del vigile in mutande di Sanremo. Investe infatti e innanzi tutto il modello di lavoro allinterno della Pubblica Amministrazione, ancora largamente dominato da logiche otto-novecentesche, direi quasi fordiste, logiche che prevedono ununiforme linearità dellimpegno lavorativo, una parcellizzazione minuta dei compiti, una diffusa deresponsabilizzazione dei singoli rispetto allobiettivo generale perseguito dall'ufficio, in analogia con quanto avveniva nelle catene di montaggio. È da questa impostazione che nasce la necessità di un controllo punto per punto, sia dello spazio che del tempo, dei processi produttivi, da qui gli strumenti di sorveglianza tipici dei Tempi moderni di chapliniana memoria, dagli odiati "capi" con il cronometro in mano, ai registri delle presenze, alla timbratura dei cartellini, oggi sostituiti dai più tecnologici badge. Nellindustria privata avanzata tutto ciò è oggi solo un ricordo: il lavoro in team è ormai la regola, come pure il coinvolgimento dei lavoratori rispetto ai risultati da ottenere, con la conseguente, possibile articolazione flessibile dellimpegno, a seconda delle esigenze del momento.
Partiamo dai fatti di cronaca: se in un ufficio con un organico di 17 persone ci vuole la Guardia di Finanza per accorgersi che manca regolarmente allappello più del 50% del personale, è evidente che, al di là del giudizio morale sul comportamento dei singoli, non possono non sorgere interrogativi sullorganizzazione generale della struttura. Delle due luna: o il personale è in esubero del 50% rispetto ai compiti affidatigli (cioè a dire, lo stesso lavoro potrebbe essere portato a termine con la metà delle risorse organiche) oppure il lavoro è organizzato in maniera inefficiente, inefficace e quindi diseconomica. Se così non fosse, limpiegato o laddetto non potrebbe assentarsi arbitrariamente dal proprio ufficio, non per ragioni etiche, ma perché si troverebbe nellimpossibilità di farlo, avendo assunto compiti e obiettivi ben commisurati a tempi e a scadenze precise. Ѐ qui il nocciolo del problema. Bisogna porre mano non già a roboanti quanto inutili inasprimenti delle pene per accontentare le numerose e chiassose tricoteuses del nostro Paese, ma a un ripensamento radicale delle forme in cui si opera nella PA.
Qualche anno fa si parlò molto di una dimensione femminile dei tempi di lavoro. Mi pare sia stata una delle tante meteore mediatiche, poi scomparsa nelle oscure superficialità della politica italiana. Bisogna invece riprendere la riflessione su quel tema, che va al di là della caratterizzazione di genere che si è voluto darle, per aprire la strada ad una condizione più produttiva del lavoro impiegatizio, sia per gli operatori che, soprattutto, per i fruitori dei servizi.
In particolare, le nuove tecnologie informatiche, se diffuse e sostenute da reti territoriali ampie e moderne (non è purtroppo ancora il caso dellItalia, uno dei Paesi sviluppati tra i meno attrezzati in questo senso) consentirebbero di adattare meglio le attività alle necessità territoriali e familiari, riducendo gli spostamenti casa-lavoro, flettendo i tempi a seconda delle esigenze degli operatori, senza pregiudicare la qualità del servizio, distinguendo il back office dal front office e utilizzando al massimo il telelavoro, oggi da noi ancora troppo poco diffuso; soprattutto abbandonando lidea di un lavoro lineare, continuo, uniforme (alienato, si sarebbe detto in altri tempi) e introducendo in tutti gli uffici unoperatività per progetto, in cui ciascuna tappa del processo produttivo acquisti un suo senso e disponga degli strumenti necessari al raggiungimento degli obiettivi in un preciso ambito temporale. Ciò consentirebbe al dirigente di essere qualcosa di più di un pastore che deve badare a che il gregge non si disperda, ma gli conferirebbe la piena e verificabile responsabilità dei risultati ottenuti.
Se questa fosse limpostazione, si potrebbero agevolmente abolire i classici controlli del mero tempo trascorso in ufficio, spesso una sorta di black box allinterno della quale non si sa bene cosa succede e, soprattutto, se tutte le unità lavorative, pur fisicamente presenti, operino utilmente ed efficacemente al servizio della comunità. Adattando tempi e modi agli scopi da raggiungere di volta in volta, nella massima trasparenza delle procedure e delle risorse impiegate, non ci sarebbe più nulla di male nel fatto che un impiegato non vada tutti i giorni in ufficio alla stessa ora, per poi uscirne alla stessa ora. La riprovazione nascerebbe solo dal mancato raggiungimento dei risultati previsti. Perché, è bene ricordarlo, si può anche timbrare puntualmente il cartellino in entrata e in uscita e poi trascorrere gran parte del proprio tempo di lavoro a fare altro, senza che questo desti un particolare sdegno nellopinione pubblica. Lo scandalo vero sta proprio qui.
Sabato, 25. Giugno 2016