Crescere poco, lavorare tutti (o quasi)

Per motivi demografici i paesi industriali non riusciranno a far aumentare il Pil a più del 2%, sempre che riescano a migliorare la produttività. Le politiche italiane sono il contrario di ciò che serve per far salire l'occupazione: basta straordinari, ridurre l'orario, incoraggiare il part-time, recuperare i ritardi nei servizi

Le polemiche sulla debolezza della crescita, che nel 2015 è stata dello 0,8% sia del Pil che dell’occupazione (+186mila) non si placano. Per un paese la cui disoccupazione giovanile è superiore al 40% ed i cui i tassi di occupazione globali (occupati su popolazione 15-64 anni) sono di 10 punti inferiori all’Europa (ci mancano 4 milioni di posti lavoro per essere in media europea), è lecito polemizzare sulla crescita debole, ma senza farsi illusioni.

Tutti invocano la crescita come gli stregoni invocano la pioggia, pochi ricordano che una crescita del Pil superiore al 2%, che sarebbe necessaria per avviare a soluzione i nostri problemi, occupazionali ma non solo, sul medio periodo, non la vedremo più. Non si avvereranno le previsione di Serge Latouche, il teorico della decrescita, secondo cui “una crescita illimitata del Pil è incompatibile con un mondo limitato”, ma sicuramente i paesi industriali non avranno più tassi di crescita alti, perché paesi “vecchi” che non fanno figli ed hanno popolazione stagnate o calante e perché sarà molto alta la crescita dei paesi emergenti, che partono da livelli più bassi. La crescita del Pil, cioè della produzione di un paese, è la somma di due fattori, la popolazione e la produttività, cioè più braccia che lavorano e più produzione per addetto o più produttività determinano la crescita. Per decenni il Pil mondiale è cresciuto mediamente del 3,5% l’anno grazie ad una crescita della popolazione del 2% e della produttività del’1,5%. Oggi il Pil del mondo cresce come prima, ma con un contributo più massiccio dei paesi emergenti, che con la globalizzazione crescono più dei paesi industriali. Infatti la crescita mondiale è stata del 3,1% nel 2015 ed è prevista del 3,2% per il 2016 (IMF, World Economic Outlook, 2016), ma con contributi assai diversi tra paesi industriali, che crescono dell’1,9%, e paesi emergenti che crescono più del doppio, 4%.

I paesi industriali, che sono vecchi (46 anni la nostra età media contro i 26 del mondo) e non fanno figli, devono adattarsi ad una crescita annua media del Pil non superiore al 2%, perché manca loro completamente la componente demografica. Sempre che siano così bravi da attivare la produttività, cioè le potenzialità da progresso tecnico ed organizzativo, non rallentando le trasformazioni strutturale delle loro economie, facendo gli investimenti tecnologici e di risorse umane necessari.

Chi rallenta o si oppone alle trasformazioni strutturali dell’economia, dalle produzioni materiali alle immateriali, dall’industria povera ai servizi, crescerà ancora meno del 2% possibile, come avviene all’Italia da un ventennio.

Dove sbaglia Latouche, il teorico della decrescita? E’ vero che in natura, alberi, animali, non esiste crescita infinita, ma in natura non esiste neanche il fattore produttività come esiste in economia, per cui è prevedibile che, anche con crescita demografica zero, il Pil continui a crescere sia pure con tassi inferiori al 2%.

Perciò il problema occupazionale, che è vitale per ogni paese, deve essere affrontato indipendentemente dalla crescita, che va promossa ma non enfatizzata.

Guardando ai paesi europei con tassi di occupazione migliori dei nostri, tutti i paesi del Nord e del Centro, da Austria e Francia in su, si osservano alcune buone pratiche che faremmo bene a seguire, invece di fare il contrario (agevolare gli straordinari, puntare sulla quantità, etc.) .

Più qualità delle produzioni, maggiore sviluppo dei servizi, più decisa ripartizione del lavoro, sono tre obiettivi che l’Italia ha completamente disattesi. In Italia, Grecia e Spagna l’occupazione part time è inferiore al 20% dell’occupazione totale mentre in Austria, Germania e Svezia è del 30%, in Olanda addirittura del 50%. In Germania hanno abolito lo straordinario e noi lo facciamo costare meno dell’ora ordinaria. La durata annua dei lavoratori a pieno tempo è di 2000 ore in Grecia, di 1800 ore in Italia e di 1500 in Germania, Svezia, Francia. Un 20% di orario in più significa, per l’Italia, almeno 2 milioni di posti lavoro in meno. Altro buco occupazionale dell’Italia è nello scarso peso dei servizi, turismo, cultura, trasporti, assistenza tecnica, istruzione, etc. Nel solo turismo, se l’Italia avesse il peso di Francia e Germania, potrebbe recuperare almeno 500mila posti di lavoro.

Invece di fare la danza della pioggia, aspettando dal cielo una crescita necessaria, ma che non sarà mai alta come 20 anni fa, pensiamo a fare politiche speciali per l’occupazione, cioè politiche adatte a “periodi di bassa crescita”, puntando alla crescita, ma sapendo che difficilmente, sul medio periodo, potrà superare il 2%.

(pubblicato su L'Unità il 24/5/2016)

Giovedì, 26. Maggio 2016
 

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