Perché la Germania è diventata super

Le riforme Hartz, tanto decantate, non avrebbero giocato un ruolo essenziale. Più importante il contenimento del costo del lavoro, ma determinante un terzo fattore: la grande riorganizzazione di processi e prodotti che è stata alla base di guadagni di produttività e contenimento dei prezzi

Un recente articolo di Christian Dustmann, Bernd Fitzenberger, Uta Schönberg e Alexandra Spitz-Oener, pubblicato su VoxEu (From sick man of Europe to economic superstar: Germany’s resurgence and the lessons for Europe,) argomenta che la performance della Germania, che svetta in un continente a crescita lenta e alto tasso di disoccupazione, “è spesso attribuita alle politicamente difficili riforme Hartz del mercato del lavoro”, ma le evidenze empiriche vanno in senso opposto. Secondo gli autori, “le riforme Hartz non hanno giocato un ruolo essenziale. La chiave del successo è stata, invece, la minaccia di delocalizzazione verso l'Europa centrale insieme con la struttura tradizionale (pre-Hartz) e l'autonomia delle istituzioni del mercato del lavoro tedesco”. Sarebbe stata infatti quella struttura, decentrata e partecipativa, a consentire che i sindacati facessero le concessioni salariali necessarie per adeguare il sistema produttivo alla nuova realtà. A sostegno della loro tesi gli autori citano l’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto, che mostra che dal 1995 la posizione competitiva della Germania è costantemente migliorata, mentre la competitività di alcuni dei suoi principali partner commerciali europei si è deteriorata (Spagna e Italia), o è rimasta vicino alla posizione di partenza (Francia).

Come è noto, il sistema di relazioni industriali della Germania non è radicato nella legislazione è disciplinato dal processo politico, ma è invece definito dai contratti e dagli accordi tra i tre principali attori del mercato del lavoro: i sindacati, le associazioni datoriali e i consigli di fabbrica (tipicamente presenti nelle imprese di medie e grandi dimensioni). Nella prima metà degli anni ‘90, la struttura di governance specifica del sistema tedesco di relazioni industriali avrebbe consentito un’accelerazione senza precedenti del decentramento del processo negoziale di fissazione di salari, orari e altri aspetti delle condizioni di lavoro, dal livello settoriale e regionale a quello della singola impresa o anche del singolo lavoratore. Questo intenso decentramento salariale avrebbe contribuito a far scendere i salari, in particolare nella parte bassa della distribuzione dei redditi, ottenendo il continuo miglioramento della competitività dell'economia tedesca. Il decentramento senza precedenti del processo di determinazione dei salari sarebbe stato guidato da due sviluppi principali: un notevole aumento delle ‘clausole di apertura’ che ha rafforzato, nella determinazione dei salari, il ruolo dei consigli a livello di impresa a scapito di quello dei sindacati e, di conseguenza, un forte calo della quota di lavoratori coperti da accordi sindacali.

Questa è la tesi centrale dell’articolo che però, proprio sul piano delle evidenze statistiche, mostra di sovrastimare il ruolo della moderazione salariale e di trascurare invece quello della riorganizzazione dell’intero sistema produttivo. Lo straordinario vantaggio nel costo del lavoro per unità di prodotto conseguito dalla Germania si basa infatti, a differenza di quanto comunemente si sostiene, non tanto sull'abbattimento del salario reale (che ha luogo solo tra il 2004 e il 2008), quanto su incrementi di produttività molto sostenuti. Ovvero, in altri termini, il significativo miglioramento del clup tedesco non è tanto dovuto alla moderazione del numeratore quanto all’aumento del denominatore del rapporto. Sono stati i forti aumenti di produttività, in particolare, a consentire alle imprese tedesche di praticare prezzi, tanto al consumo quanto all'esportazione, assai più moderati dei nostri.

Qualche dato di Eurostat ci aiuta a mettere in luce questo aspetto della recente performance tedesca, tanto rilevante quanto sottaciuto rispetto a quello della moderazione salariale.

 

Partiamo dal costo del lavoro. Se consideriamo in termini reali anziché monetari la crescita di questa variabile chiave, cui l’articolo attribuisce tutto o quasi il merito della buona performance, la Germania mostra un vantaggio rilevante solo tra il 2004 e il 2008, e nell’ultimo periodo considerato (2009-2012) il costo del lavoro reale torna a crescere in Germania a ritmi annui significativamente più elevati tanto dell’Italia quanto della media dell’Eurozona.

Non così la produttività oraria, che cresce in Germania quasi sempre più che nell’Eurozona (tranne nell’ultimo periodo) e sempre molto più che in Italia. È questo un indubbio segnale del fatto che, se il decentramento contrattuale è servito a contenere la crescita del costo del lavoro, questa manovra è stata però accompagnata dalle imprese tedesche con una profonda riorganizzazione delle imprese, tanto in patria come nelle catene internazionali del valore, che ha consentito di mantenere anche durante la recessione buoni standard di aumento della produttività. I risultati della riorganizzazione, del resto, si possono valutare anche guardando ai prezzi. Qui il miracolo tedesco è ancor più evidente: in tutti i periodi considerati i prezzi dei beni e servizi tedeschi mantengono dinamiche molto contenute e sensibilmente inferiori a quelle degli altri paesi euro e, in particolar modo, dell’Italia. Nell’intero periodo 1995-2012 la crescita media annua dei prezzi al consumo è in Germania dell’1,5%, contro il 2% medio dell’Eurozona e il 2,5% dell’Italia; e la differenza è ancor maggiore nei prezzi all’esportazione, che crescono dello 0,2% l’anno contro l’1% dell’Eurozona e il 2,3% dell’Italia.

L'articolo di Dustmann e altri dovrebbe quindi guardare con maggiore attenzione ai differenziali di produttività e di prezzo. Può darsi che davvero la chiave di volta della ripresa tedesca sia stato il decentramento contrattuale (e non le leggi Hartz); ma questo può essere vero solo nel caso in cui il decentramento abbia favorito non solo la moderazione salariale, ma più ancora la riorganizzazione di processi e prodotti alla base di guadagni di produttività e contenimento dei prezzi privi di paragone con l'esperienza italiana. Le due misure, in altri termini, vanno probabilmente viste come i due lati di un vero e proprio ‘scambio politico’ maturato tra gli attori del sistema tedesco delle relazioni industriali (imprese, sindacati e consigli) in un clima negoziale e di responsabilizzazione favorito dalla tradizione partecipativa. La lezione di SuperGermany all’Europa, dunque, non è solo quella del decentramento contrattuale (come l’articolo suggerisce), ma forse e più ancora l’equità, la serietà e la mutua responsabilizzazione negli scambi alla base dei patti sociali, come presupposti di scambi politici efficaci e non masochistici.

Mercoledì, 30. Aprile 2014
 

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