Le 5 condizioni per le energie alternative

Attorno a questo settore si è combattuta una “guerra dei trent’anni” fra ecologisti e tradizionalisti, che con la crisi si è fatta più aspra. Uno sviluppo efficiente ha bisogno di una mediazione politica e di una programmazione che si basi su caratteristiche precise

Il problema dello sviluppo sostenibile e conseguentemente del tuttora irrisolto dilemma fra rallentamento della crescita o catastrofe climatica più o meno ritardata fu impostato intorno al 1960 dal Club di Roma. Nacque così il mito di Gea e delle risorse limitate. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Ai dibattiti teorici sono subentrate le scelte e le battaglie di politica economica. Si è passati attraverso varie tappe mondiali: la Conferenza di Rio (che consacrò il controverso principio dell'inquinatore pagatore, facendo nascere l'altrettanto controverso commercio dei cosiddetti certificati verdi) e quella di Kyoto. Ai principi elaborati in tali occasioni molti Paesi fingono di ispirarsi, pur attuando in realtà strategie quanto meno schizofreniche. L'ultimo eclatante esempio è costituito dal piano globale di lotta all'inquinamento ed al degrado climatico mondiale presentato da Obama il 25 giugno. Dopo che la stessa Amministrazione aveva negli ultimi tre anni spianato la strada alle trivellazioni costiere e al fracking che di fatto desertifica ampie porzioni di territorio.

 

In Italia il tema delle energie alternative si è sviluppato con varie vicende a partire dagli Anni '80. Ha avuto alcuni momenti salienti, coinvolgendo anche posizioni politiche. Basti ricordare il recente referendum sul nucleare che pone - per ora, in attesa di scoperte scientifiche non prevedibili - la pietra tombale su quella fonte energetica.

     

Alcuni dei lettori di questa rivista probabilmente ricorderanno che chi scrive si è occupata più volte di tali tematiche e del connesso argomento della programmazione: connessione che mi riservo di chiarire più avanti. Sulle energie rinnovabili ho pubblicato nel 2011 tre interventi. Nell'ultimo articolo sottolineavo l'importanza della geotermia per il Mezzogiorno. Da allora sono stati compiuti alcuni progressi, ma appare carente la volontà politica. Altre considerazioni sono state svolte nel dicembre del 2011, quando è cominciata la battaglia degli incentivi, mentre alla rinascita della programmazione sotto mutate spoglie Valerio Selan ed io abbiamo dedicato una nota nel maggio di quest'anno.

 

Sta di fatto che tra il 1980 ed il 2013 si è combattuta - sotto la maschera di proclami ecologici, pulsioni nazionalistiche, pensosi studi economici - una vera e propria guerra dei trent'anni tra gruppi di potere economico-finanziario. Con estrema semplificazione possiamo classificarli come alfieri delle energie "tradizionali" e di quelle "alternative", con i loro cortei di opinionisti in buona o cattiva fede e di ecologisti convinti insieme ai cacciatori di incentivi. Il tutto al cospetto di una pubblica opinione con scarsa propensione alla critica ponderata, sballottata fra tesi opposte sostenute talora con convinzione e tal'altra con sfrontatezza. Anche a seguito dei risultati della Conferenza di Kyoto e degli impegni assunti dai singoli Paesi si decise di favorire lo sviluppo delle energie alternative con un meccanismo di incentivi. Essi non riguardarono tutti i tipi di energie, ma soprattutto il solare e l'eolico. Il ciclo dei rifiuti come fonte di energia (e di guadagni!) ha avuto poca fortuna nel nostro Paese, per l'atteggiamento ostruzionistico della pubblica opinione soprattutto meridionale nei confronti dei termovalorizzatori. Non so quanto peso abbiano avuto nel pilotare la protesta la criminalità organizzata o gli interessi dei gestori delle discariche.

 

Per la verità l'eolico ha una lunghissima storia di economicità dalla marina velica ai mulini di Don Chisciotte e dell'Olandesina. Ma - e qui il sospetto è abbastanza motivato - si pensò forse di favorire il settore metalmeccanico dei produttori di pale.

    

In una prima fase il gruppo di interessi delle energie classiche non si oppose alla politica degli incentivi. Anzi, la condivise dato che anch'esso godeva di contributi a compenso della rinuncia al nucleare. La botte piena e la moglie ubriaca, diremmo. Il motivo di questo atteggiamento accomodante è presto spiegato. L'economia nel 2010 e nei primi mesi del 2011 tirava abbastanza; la domanda di energia era alta e il peso delle alternative relativamente scarso. Esse potevano essere considerate integrative anche perché i picchi del solare e del neonato fotovoltaico coincidevano con i picchi di domanda e consentivano di ottimizzare la capacità installata delle energie tradizionali.

    

A partire dalla metà del 2011 la situazione cambia bruscamente. Terminata con perdite colossali la burrasca finanziaria, i suoi effetti si propagano sulla struttura economica e su quella occupazionale. La domanda di energia crolla. I gruppi di potere intravvedono un futuro minaccioso. Appare un eccesso di potenza installata proprio mentre le energie alternative, terminata la fase di rodaggio, iniziano quella di rapida espansione. Le due categorie energetiche da complementari divengono rivali o, almeno, lo divengono apertamente: in una visione di lungo periodo lo erano anche prima.

    

Però il gruppo di potere tradizionale, con la sua schiera di pubblicisti e giornalisti, rifugge dall'attacco diretto. Non vuole il marchio di antiecologista. Spara dunque i suoi proiettili in direzioni diverse: le lamentazioni per il peso delle bollette sui consumatori a causa degli incentivi; le mani della camorra sul solare; le pale che offendono l'estetica del paesaggio (nel Paese degli ecomostri!). Ultimo argomento "strappacore": gli aereomotori creano barriere sulle rotte degli uccelli migratori, che posso battervi il capino e anche morire... I difensori delle energie alternative, come abbiamo segnalato, hanno replicato invocando il mantenimento dei contributi, orientandoli alla ricerca ed estendendo le tipologie ad altri campi, quali le biomasse, la geotermia, le mini-turbine idrauliche, etc.

 

Quando un conflitto fra gruppi di interesse passa dalla bassa all'alta intensità sarebbe illusorio affidarne la mediazione al mercato, oltre tutto drogato dagli incentivi. L'unica mediazione efficace è la politica. Lo strumento di attuazione, come ho molte volte ricordato, è la programmazione. Questo è l'elemento di connessione al quale avevo fatto cenno.

    

Per essere veramente efficace la programmazione energetica deve avere caratteristiche particolari. Quelle principali sono: a) una solida base scientifica; b) una visione di lungo periodo; c) una flessibilità operativa; d) un'autonoma capacità decisionale; e) una specializzazione per filiere produttive.

     a) Una solida base scientifica è indispensabile per sottrarre le scelte energetiche ai mutevoli umori popolari, più o meno alimentati da persuasori occulti, e conseguentemente anche agli eventuali riflessi politici. Un'opportuna integrazione di competenze fra Cnr ed Enea potrebbe garantirla.

     b) La visione di lungo periodo è un requisito essenziale. Gli stop and go, gli ordini ed i contrordini nuocciono alla pianificazione operativa delle aziende. Anche se si è considerevolmente ridotto nell'ultimo mezzo secolo, l'arco temporale che collega la ricerca di base al prodotto "maturo" (che raggiunge la larga scala) non è inferiore a 15/20 anni. Donde l'opportunità di seguire e supportare finanziariamente anche le sperimentazioni in apparenza avveniristiche.

     c) La flessibilità operativa non è in contrasto con il requisito precedente. Essa implica la capacità di correggere errori e mutare le politiche in rapporto sia ad eventi non previsti che di fronte a risultati inattesi, positivi o negativi.

     d) La capacità decisionale. La programmazione energetica non può essere solo indicativa, proprio perché deve tendere a rendere sinergiche le conflittualità di mercato. Essa può collegarsi alla forma istituzionale della Authority, che può rappresentare una soluzione accettabile in quanto svincolata parzialmente dall'alternarsi della direzione politica.

     e) La specializzazione per filiere mi sembra particolarmente importante. Le singole forme di energia hanno un rendimento massimo se impiegate per bisogni specificamente correlati. Ad esempio, le biomasse nel ciclo dei rifiuti hanno un doppio rendimento, energetico ed ambientale. Alcune energie tradizionali saranno ancora per qualche tempo ottimali per il traffico veicolare individuale (benzine, gas). L'auto ad idrogeno e quella elettrica stanno passando dalla sperimentazione alla produzione. Rimarranno però molto costose e, quindi, non adatte ai consumi di massa, finché non saremo in grado di ottenere queste forme di energia con soli due passaggi. Ad ogni passaggio, come è noto, la resa energetica si riduce di un multiplo. Il solare termico è particolarmente adatto all'edilizia; quello a concentrazione e il fotovoltaico alle piccole imprese ed ai servizi. Queste filiere potranno mutare nel tempo anche sotto la pressione innovativa delle nanotecnologie, un mondo ancora in parte sconosciuto.

 

Per concludere, la programmazione energetica sarà tanto più efficace quanto più sorretta da una notevole apertura mentale e da una capacità decisionale la cui autorevolezza si accompagni all'esercizio di un soft power. Ciò implica minimo ricorso a pastoie burocratiche e massima diffusione di automatismi negli incentivi e di informazioni tecnico-scientifiche veicolate anche attraverso una moral suasion.

Lunedì, 1. Luglio 2013
 

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