Eternit, storia di una lotta

La sentenza di dura condanna giunge dopo una lunga mobilitazione che ha visto una crescente partecipazione popolare e che, grazie anche all’impegno di sindacalisti come Fausto Vigevani, è riuscita a cambiare la legislazione nazionale. Le tappe e i protagonisti

La tragica e, per tante singole vicende, dolorosa storia dell’Eternit di Casale Monferrato si è negli anni trasformata in un emblematico punto di riferimento, sia a livello nazionale che internazionale, per tutte quelle lotte che vogliono affermare il diritto alla salute nei luoghi di lavoro e pretendono giustizia nei confronti dei responsabili dei tanti, troppi, disastri ambientali. E’ finalmente arrivato il momento tanto atteso di una lunga e insieme straordinaria iniziativa sindacale e legale: si è concluso con pesanti condanne il processo iniziato un anno fa al Tribunale di Torino nei confronti dei proprietari della multinazionale, il miliardario svizzero Stephan Schmidhaeny e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, accusati di aver causato la morte di migliaia di persone per la lavorazione dell’amianto nelle quattro sedi italiane. Che, oltre a Casale Monferrato, si trovano a Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli), mentre le vittime accertate sono quasi 3 mila e 5 miliardi la richiesta del risarcimento.

 

Questa lotta è stata segnata, nel corso di oltre trent’anni, da coraggiose decisioni prese e dall’impegno di diverse persone: lavoratori colpiti dalla malattia, sindacalisti, medici, sindaci, avvocati, parenti delle vittime e un Procuratore della Repubblica. Che devono essere ricordati.

 

Il “no” della Camera del Lavoro

Quando nel giugno del 1986 il tribunale di Genova dichiara il fallimento della parte italiana del gruppo e la “Safe”, la holding francese della Eternit, si candida per riavviare la fabbrica e riprendere la produzione di lastre di fibro-cemento, i dipendenti, anche se di molto ridotti, sono ancora in 350. E la Camera del Lavoro, nonostante la contrarietà degli altri sindacati e della stessa categoria degli edili della Cgil, sa tenere ferma la sua opposizione alla ripresa della produzione dell’amianto. In quel contesto in presenza di una divaricazione, che tante volte si è presentata al sindacato e ai lavoratori, tra il bisogno del lavoro e del salario e la difesa della salute, ad orientare la decisione  della Camera del Lavoro è Bruno Pesce che dalla fine degli anni ’70 dirige il sindacato della Cgil nella zona di Casale e Nicola Pondrano, delegato aziendale della Eternit che, dal ’79, è responsabile del patronato Inca-Cgil. In pochi anni la Cgil è riuscita a presentare oltre ottocento denunce per malattia professionale da parte di ex lavoratori Eternit. Un impegno che per le competenze sanitarie, dal ’78, si è potuto avvalere della consulenza di una giovane laureata in medicina, Daniela Degiovanni, che, come medico del patronato e oncologa dell’ospedale, ha conosciuto e seguito le drammatiche vicende personali della maggioranza degli operai della fabbrica. Si è così realizzato il più grande contenzioso medico-legale e giudiziario mai affrontato dall’Inail del Piemonte, con riconoscimenti positivi nei due terzi dei casi.

 

Certo nell’86 delle conseguenze mortali della polvere bianca che infestava la città si parlava ormai diffusamente. E tre anni prima nel tribunale di Casale c’era stata la testimonianza di Giovanni Demicheli, un operaio che già molto malato aveva comunque voluto partecipare al primo processo contro l’azienda. L’ingresso in barella nell’aula giudiziaria, l’ascolto della sua voce sofferente e la sua scomparsa, avvenuta solo cinque giorni dopo, suscitarono una profonda emozione nell’opinione pubblica. La decisione della Camera del Lavoro di opporsi è stata certo lungimirante, ma difficile anche perché la Safe, pur di riprendere la lavorazione dei manufatti di amianto, era disponibile a  contrattare qualsiasi condizione con il sindacato.

 

A chiudere definitivamente la partita, qualche mese più tardi, il 2 dicembre ’87, fu l’ordinanza del sindaco, Riccardo Coppo, che, per la prima volta in Europa, sanciva il divieto all’impiego e all’utilizzo di lastre di cemento-amianto sul territorio del comune. Rappresentando con questo atto importante la sensibilità ormai presente a Casale sui temi dell’inquinamento e dei rischi alla salute, la domanda di sicurezza e il bisogno di verità dei suoi cittadini. E’ giusto, poi, ricordare anche l’impegno più recente di un altro sindaco, Paolo Mascarino, da poco scomparso, per i lavori di bonifica della città e l’abbattimento dello stabilimento, portati avanti con tenacia e la sua costante presenza in tutte le iniziative con i rappresentanti di Provincia, Regione, Arpa e Asl e delle Associazioni dei familiari delle vittime.

 

Quel divieto della città di Casale dell’87, nel marzo 1992, con l’approvazione della legge n. 257, venne esteso a tutto il Paese con una dotazione legislativa avanzata che sancisce il riconoscimento nazionale delle ragioni di una lotta a tutela della salute e l’impegno unitario di tutto il sindacato Confederale. In quella fase, nel ruolo di vice presidente del Senato, risultò importante il sostegno di Luciano Lama. Con l’amianto messo al bando in Italia l’Inps dovette così accogliere le domande di pensionamento dei lavoratori ex Eternit riconoscendo loro il 50 per cento in più di contributi previdenziali per i periodi nei quali avevano lavorato essendo esposti al rischio amianto.

 

La vertenza assume un valore nazionale

Ma è tre anni prima, il 16 febbraio 1989, che si costruiscono i presupposti della legge,  quando, in un affollato convegno organizzato da Cgil e Inca che si tiene nel cinema Politeama di Casale, la vertenza dell’Eternit assume un valore generale e la questione dell’amianto viene riconosciuta come nazionale dal Sindacato. “No all’amianto” il titolo dell’incontro pubblico nel quale intervengono dirigenti sindacali, esperti scientifici, medici, giuristi, legali e amministratori della Regione. Di quell’incontro ricordo la grande partecipazione, la tensione della relazione, degli interventi e l’attenzione con la quale erano seguiti. Ho presente, fra i molti, quello di Bianca Guidetti Serra, avvocato torinese tra i primi ad occuparsi, con Sergio Bonetto e Oberdan Forlenza, del sostegno legale alla vertenza. Ma sono le conclusioni, belle e impegnative, di Fausto Vigevani, segretario confederale della Cgil, che, nell’assumere e mettere in valore i contenuti della lotta sindacale - come ebbe a dire “di questa  piccola Camera del Lavoro”- li fa diventare la piattaforma nazionale del sindacato. Che conteneva la messa al bando dell’amianto in tutto il Paese e la conquista di nuove tutele per i lavoratori esposti. Nell’agosto dell’89 Vigevani mantiene l’impegno e le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil presentano le richieste al governo.

 

La positività della lotta e della denuncia, la rivendicazione del risarcimento e la richiesta di giustizia, portata avanti nei confronti dei responsabili della multinazionale dell’amianto, ha presto finito d’essere solo una vertenza sindacale per trasformarsi in una battaglia nella quale si è riconosciuta l’intera città. Una comunità che in assenza di questo comune obiettivo, sotto l’incombenza e il peso dei tanti, troppi lutti, poteva rischiare di chiudersi, avvitarsi nelle singole depressioni e vivere una difficile condizione fatta di costante incertezza. E ha trovato invece il coraggio di lottare. Straordinaria per capacità di reagire a una terribile vicenda personale quella, in particolare, di Romana Blasotti Pavesi, la presidente dell’Associazione dei familiari vittime dell’amianto, cui è toccato leggere, in assemblea, la lettera della figlia che denunciava con semplicità e indignazione la sua malattia. Una famiglia quella della presidente ripetutamente colpita negli affetti e che ha fatto di questa signora minuta e tenace il simbolo della lotta che da anni si porta avanti a Casale. Per ultimo, tra le persone decisive, l’impulso dato all’indagine, iniziata nel 2004, dal Procuratore di Torino Raffaele Guariniello che, coadiuvato da altri due Pm, ha condotto l’istruttoria, che si è conclusa nell’estate del 2009 con il rinvio a giudizio dei due proprietari. L’accusa era di disastro ambientale e inosservanza delle norme sulla sicurezza.

 

La decisione di una politica subalterna

Intanto, per mesotelioma pleurico ci si continua ad ammalare e a morire, non solo a Casale. I casi  accertati dopo il febbraio 2008, che costituiranno il secondo processo Eternit, hanno già superato le quattrocento unità. In questo contesto di esempi di autonomia e responsabilità, volti non all’interesse immediato e più facile, ma alla volontà di garantire un futuro normale alle nuove generazioni, è difficile non stigmatizzare la decisione del Consiglio Comunale di Casale e del suo sindaco che in cambio di un indennizzo avevano ritirato la costituzione di parte civile. Una lacerazione in un tessuto solidale, una macchia difficile da spiegare a chi da lontano ha seguito con speranza la lotta di tutta una città contro una delle più potenti e ricche multinazionali. Dovuta, penso, allo sguardo corto di una politica miope, subalterna, senza cultura che non essendo stata in grado di concorrere ad una straordinaria vicenda la voleva svilire pensando di ridimensionarla. Quello che ha colpito in quella posizione dell’amministrazione comunale è anche un superficiale e tragico provincialismo. La sentenza, comunque, ha fatto finalmente giustizia.

Lunedì, 13. Febbraio 2012
 

SOCIAL

 

CONTATTI