Ed, non proprio red, ma è un’altra aria

Storia e posizioni politiche di Miliband, il nuovo segretario del Labour. Che su alcuni punti (per esempio i tagli alla spesa pubblica e i programmi sugli armamenti) appare prudente, ma ha delineato chiaramente la fine del blairismo

Figlio 41enne di Ralph Miliband e Marion Kozak, immigrati ebrei polacchi sfuggiti al nazismo. Il padre, uno dei grandi pensatori marxisti del secondo ‘900, fondatore della “New Left Review” e autore di parecchi studi di teoria e di una critica molto aspra, famosa, del parlamentarismo del partito laburista (“Parliamentary Socialism: A Study of the Politics of Labour”), le cui tesi divennero la base teorica su cui si formarono i leader della nuova sinistra britannica, in opposizione al governo laburista eletto nel 1964. E’ sepolto al cimitero di Highgate a Londra, proprio accanto alla tomba di Marx. La madre, insegnante di scuola media e militante sempre attiva della sinistra del Labour.

Ed era stato ministro dell’Ambiente nel governo di Brown. Come il fratello David, candidato anche lui a queste primarie e ultimo a cadere nella selezione (poco più di un punto percentuale di differenza, alla fine) che era stato ministro degli Esteri, sempre con Brown. Entrambi laureati ad Oxford, col master poi preso alla London School of Economics, Ed aveva lavorato a lungo nello staff economico di Brown quando per otto anni era stato Cancelliere dello scacchiere di Blair.

E’, e dichiara di essere, ateo (“rispettando chi ha fede”, ovviamente) e “convive” con Justine, giovane avvocatessa di un anno più giovane. Un figlio di 15 mesi, Daniel, e un altro/a in arrivo.

Come si è votato alle primarie

E’ stata, nei fatti, un’elezione primaria di tipo straordinario: a scaglioni, prima con tutti i candidati – cinque: a eliminazione diretta ogni volta dell’ultimo – e poi man mano con quelli che restavano in piedi fino ai due ultimi, appunto i fratelli Miliband: in voti successivi di tutti i deputati, gli attivisti di partito (i delegati: i primi di diritto, i secondi eletti al Congresso) ma anche, con il voto ponderato   a diminuire di 3 milioni e mezzo di sindacalisti iscritti al partito: ciascuno calcolato individualmente, però, e non più in blocco sindacale, secondo l’innovazione ormai da anni fatta passare dal New Labour di Blair. Di fatto, sono stati questi ultimi, anche se il loro voto individuale era come s’è detto annacquato rispetto a quello dei maggiorenti, a far passare Ed sugli altri, e sul fratello in particolare, con centinaia di migliaia di voti espressi.

Le proposte di Ed Miliband

 
Le posizioni del nuovo segretario si possono ricavare dal suo blog e dal suo discorso al congresso dei sindacati.
 
Ed Miliband si è presentato al Congresso a seppellire le vecchie certezze del New Labour:  il business come valore, l’efficienza come fine e non come strumento, la legge e l’ordine a far premio sulla libertà. Non perché, in sé, fossero da buttare via ma perché, semplicemente, scandite com’erano come valori non funzionavano più e diventavano inaccettabili.

E’ stata un’operazione alla Gorbachev, per capirci, quando seppelliva come vecchio pensiero stantio il “socialismo reale” con la freschezza di un’onestà intellettuale che suonava nuova – e non gli portò, purtroppo, poi troppo bene –. Lui, di fatto, è sembrato seppellire così la logorrea del New Labour. Non tutto, certo, e anzi con un’operazione di filtraggio accurato: dove l’espressione più usata nel discorso di accettazione al Congresso è stata l’avversativo-limitativo “peraltro”.  Ma, di sicuro, è sembrato buttare via tutto quello che era sembrato caratterizzare e connotare la claudicante “legenda” blairita.

Così, ogni frase è suonata come un chiodo conficcato ma con grazia, quasi chiedendo scusa, sul coperchio di quella bara. Ha detto  

• di credere “nella comunità, nell’appartenenza e nella solidarietà”;

• di respingere lo stile con cui “questo nostro partito è diventato una specie di nuovo establishment sia per le compagnie frequentate e esibite, i grandi magnati e quelli che girano in yacht, sia per la nostra distanza dalla gente comune”;

• di voler fare dell’economia qualcosa che funzioni “per chi lavora”, non solo per quelli che stanno in cima (“those at the top”);

• che chi è causa della crisi, i “cleptocrati” di tanti consigli d’amministrazione di banche e finanza, devono alla fine pagare;

• che la flessibilità non può essere considerata la soluzione migliore o preferibile sempre;

• che ai datori di lavoro non dovrebbe essere consentito di precarizzarlo, di falcidiare i salari e di sfruttare quello immigrato;

• che bisogna tornare, secondo la vecchia lezione di Bob Kennedy, a saper distinguere fra il costo e il valore delle cose, ricordando che ce ne sono di quelle che il mercato non offre e non sa soddisfare perché non le sa misurare: famiglie forti, spazi verdi, amore e compassione — nel senso di partecipare con, del sentire insieme, non certo della vuota giaculatoria del “partito dell’amore”, di ciccioliniana o berlusconiana memoria…;

• che è inaccettabile far pagare una laurea a uno studente con tasse e balzelli che mediamente arrivano alle 8-9.000 sterline;

• che gli ultimi governi del paese hanno trattato superficialmente, con indifferenza indisponente e sgradevole, le libertà civili del popolo britannico;

• che l’Iraq è stato un errore colossale;

• così come, per Israele, è stato ed è l’assedio di Gaza e un’occupazione militare che va avanti da oltre sessant’anni.

Questa la sostanza del messaggio che Ed Miliband ha presentato al Congresso e sul quale aveva chiesto di essere scelto. Ora all’opposizione, presto spera al governo, si dovrà preoccupare di dettagliarlo.

Proviamo, qui, a precisarne un po’ i contenuti.  

Economia e deficit

L’economia – sostiene adesso, dopo aver lavorato per anni lui stesso, però, col cancelliere dello scacchiere Brown alla “liberistizzazione” e alla finanziarizzazione spinta dell’economia – è andata a farsi benedire perché, anche se adesso a dirlo è quasi vulgata, s’è affidata troppo alla finanza e alle sue magie che promettevano di moltiplicare il pane e i pesci, i soldi, ma si sono in larga parte rivelate solo anelli deboli di pericolose catene di sant’Antonio.

Miliband parla di politica industriale da rilanciare — ed è da prima della Thatcher, i tredici anni del New Labour compresi, che è dato risentire questa espressione: con l’eccezione, a dire il vero pietosa, di un abbozzo di piano esclusivamente verbale e messo lì come specchietto per le allodole sindacali su cui aveva lavorato, negli ultimi due anni del governo Brown, Peter Mandelson… che, iperliberista com’era, però, non ci credeva per niente. E lo diceva…

Programmaticamente, Ed Miliband che parla anche lui della necessità di tagliare la spesa pubblica, ha annunciato di voler ridurre in quattro anni della metà i tagli raccomandati dal cancelliere dello scacchiere di Brown. Per non dire di quelli ora annunciati dal governo di Cameron. Ma è anche convinto che, in  generale, sia più utile ridurre il deficit ricorrendo a una tassazione “intelligente e mirata” piuttosto che a tagli di spesa brutali, specie se, come si dice, “lineari”.

Le banche

Miliband sosterrà con forza la proposta di una tassazione speciale delle transazioni bancarie e aumenterà la tassazione speciale sulle banche. Sono misure introdotte o discusse dalla stessa coalizione Cons-Lib a dimostrazione che ormai l’opinione pubblica le accetta e le ritiene anche giuste come misure che non suonano più come “di sinistra” soltanto. Secondo lui, piuttosto che vendere (svendere) ai privati le azioni che detiene a causa delle varie operazioni di salvataggio nei vari istituti bancari, il governo dovrebbe studiare la possibilità di creare mutue cooperative di pubblico/privato.

I ricchi

Il New Labour aveva introdotto, con riluttanza, per fronteggiare la crisi, un’aliquota del 50% sui redditi massimi ma aveva detto di volerla abolire appena possibile “per non penalizzare la creazione di ricchezza”. Miliband non crede, però, alla potenza taumaturgica di “chi è ricco e fa ricchi gli altri”, del friedmanismo, del thatcherismo, del blairismo e del trickle-down che, giù per li rami, fa ricchi tutti: dice e vuole rendere, invece, permanente questa imposta.

Relazioni industriali: il rapporto coi sindacati

Il partito, in questo paese filiazione diretta e legittima del movimento sindacale, ha già cambiato radicalmente il vecchio cordone ombelicale: e ormai non si torna più indietro. Infatti, contro il senso comune largamente diffuso nei sindacati del Tuc, Miliband stesso, che pure deve ai milioni di laburisti sindacalisti la sua elezione, non esclude che il Labour possa e debba appoggiare alcuni dei tagli decisi dal governo. Ma esclude dal novero quelli concentrati sull’istruzione e, in misura minore, sulla sanità parlando piuttosto, apertamente, del tabù di ogni sinistra, la riduzione della spesa militare (Afganistan e armamento nucleare: riduzione, non cancellazione).

Tornando al sindacato, sosterrà lo sciopero come strumento da “ultima spiaggia”: da garantire ma senza indulgere alla “retorica gonfiata d’una scioperite acuta”. Non è favorevole al salario minimo garantito, come in Francia. Dichiara però – ma non è troppo chiaro – di puntare a un “salario vitale” per tutti i cittadini e di puntare a una “revisione” obbligatoria contrattuale dei compensi troppo spesso “gonfiati e ingiustificati” dei boss del settore privato. L’era del New Labour è “finita”, ma non ci saranno “bruschi spostamenti a sinistra”. Non bruschi, ma giusti e necessari sì… qualsiasi cosa, oltre il messaggio, che però già è importante, ciò voglia dire…

Istruzione

E’ favorevole a una tassazione proporzionale dell’istruzione oltre l’obbligo: per cui resta contrario a tagliare la spesa pubblica relativa alla scuola. Tutti devono potervi accedere e, anzi, l’istruzione pubblica – contrapposta non a caso a quella privata – va rafforzata. Anche se, dopo la scuola dell’obbligo, chi vuole laurearsi potrebbe essere chiamato a rimborsare i costi oltre una quota fissata e proporzionata non solo al reddito familiare ma anche al corso di studi e al prevedibile minore o maggiore guadagno che esso dovrebbe, poi, comportare.

E’ una proposta che potrebbe essere moderata optando, però, per una semplice restituzione, sempre proporzionale ma meno ridistributiva, del costo effettivo dell’istruzione.

Immigrazione

La Gran Bretagna deve restare (e ridiventare, dice lui figlio di immigrati) un paese ospitale e multietnico, pluralistico: ma bisogna capire le preoccupazioni che su salari e condizioni dei lavoratori manuali impone la pressione dell’immigrazione illegale: si tratta di un problema politico che come tale va, perciò, affrontato e risolto.

Libertà dei cittadini, diritti civili

Insieme all’unica donna, Diane Abbott, candidata alla carica di leader del partito, Ed Miliband aveva riconosciuto, e anche denunciato, che il New Labour, sotto Blair e Brown, in nome di una sicurezza fantomaticamente inseguita perché comunque ormai irraggiungibile, aveva buttato troppo spesso alle ortiche la sua tradizione “liberal” e anche libertaria (senza estremismi, però: lui è favorevole da sempre alla videosorveglianza nei luoghi pubblici, tanto per dire: purché debitamente autorizzata). Contrariamente alle posizioni prevalenti nel New Labour, Ed Miliband è uno che soprattutto capisce, e riconosce, come il rispetto delle libertà civili conti di più alla base che al vertice della piramide sociale.

Politica internazionale e guerre

Schopenauer – citato proprio da Miliband nel blog – scrisse una volta che “uno, guardando al mondo, tende spesso a prendere i limiti della propria visione come i limiti del mondo stesso”: lui si è ripromesso di non farlo. 

• Per l’Iraq, ha differenziato la sua posizione da quella del fratello (ministro degli Esteri di Brown) e di quasi tutti gli altri maggiorenti del Labour dicendo chiaramente, e da anni, anche all’inizio quando non era neanche deputato (prima del 2005), che la guerra più che un delitto è stata “un colossale errore”: di giudizio e anche morale. Ha portato un paese che non ne voleva sapere a combattere, a ammazzare e morire a cinquemila km. di distanza da casa— e non c’è crimine ed errore maggiore di questo per un leader politico. E ha contribuito, per compiacere il Grande Fratello, anche con “prove inattendibili” o addirittura false e fabbricate quasi dal nulla, a minare autorità e credito dell’Onu: che, malgrado i limiti che gli sono imposti, ribadisce, resta sempre la difesa migliore del diritto dei popoli. Ha anche detto, con coraggio – visto che aveva contro, perfino ululante, tutta la leadership del partito – che quell’errore ha provocato una catastrofica perdita di credibilità al partito che, alla fine, neanche la capacità dello spin e dell’imbellettamento blairita è riuscita più a mascherare.

 

• Per l’Afghanistan, sostiene il calendario di ritiro annunciato dalla Nato (entro il 2015: ma dice, o meglio lascia intendere, di volerlo un po’ accelerare) e appoggia la proposta di aprire un dialogo e un negoziato tra governo e talebani.

• Rispetto all’ortodosso e ossequiente fratello maggiore non teme, se e quando lo reputa necessario, di dire no anche pubblicamente agli americani: “le nostre alleanze vanno basate sui valori in cui crediamo e non il contrario: mai”, ha detto nel discorso di accettazione al Congresso, innervosendo non poco l’ala filoamericana ad oltranza del Labour e l’ambasciatore degli Stati Uniti Louis B. Susman, vecchio famiglio e sostenitore personale di Obama, che era presente.

• Ed Miliband è di famiglia ebrea, dicevamo, ma dichiaratamente non sionista. La madre, Marion Kozak, viva e ben vegeta a 75 anni, era nata in una famiglia agiata di Czestochowa ed era riuscita a scampare ad Auschwitz grazie all’aiuto, prima, del proprietario tedesco di una piccola fabbrica, una specie di Schindler locale, che salvò impiegandoli come operai decine di bambini ebrei della piccola città della “Madonna nera” vicina a Cracovia; poi, nascosta per mesi da una famiglia polacca della zona; e, infine, avventurosamente/miracolosamente fuggita dalla Polonia occupata. Marion è ancora affiliata a un’organizzazione attivamente filo palestinese e Ed stesso ha scritto un breve articolo sul sito degli Amici del Labour per la Palestina in cui dice, convinto, che Israele ha diritto ad esistere in sicurezza. Ma anche che deve garantire lo stesso diritto ai palestinesi in uno Stato loro indipendente: solo così può vivere in pace con gli altri popoli della regione, cosa che si preoccupa purtroppo assai poco di fare. Ed Miliband, poi, considera l’ebraismo “cultura e non religione” e Israele uno dei tanti paesi amici: non spende parola, al contrario dei suoi recenti predecessori, a elogiare e titillare Gerusalemme e ne critica spesso nel merito le posizioni.

 

• L’armamento nucleare britannico – sostanzialmente i missili intercontinentali Trident lanciati da sottomarini – è l’elefante bianco più costoso e obsoleto da ammodernare. Secondo questo come il precedente governo bisognerebbe cioè rimpiazzarli con una nuova generazione degli stessi missili americani, per una spesa di almeno 50 miliardi di dollari (che comunque, di fatto, continuerebbe ad affidare controllo e chiave di lancio a Washington secondo i vecchi accordi degli anni ’50 tra i due paesi). Contrariamente alla posizione sostenuta dall’altro Miliband, lui, Ed, pare optare per la riduzione e non per la cancellazione del programma: su una linea di minor costo che lo avvicinerebbe a quella che, prima delle elezioni, era dei Lib-Dem ora al governo…

• Sull’Iran, anche una ricerca attenta, non ci ha per ora consentito di trovare sue prese di posizione chiare.

• Così come sull’Europa e sull’Unione europea. 

Adesso…

Adesso, però, sarà necessario che dica, presto e con chiarezza, quel che farà nelle circostanze che si presenteranno oggi e domani davanti a lui e alla sua leadership: su Europa, Iran, Israele, problemi dello sviluppo e dell’ambiente, molto più ormai che sull’Iraq;  e non tanto, appunto, su quello che avrebbe fatto ieri…

Non c’è dubbio che il suo sia un proposito di rottura col passato della politica laburista: Ed Miliband, lo abbiamo visto, ha diroccato in Congresso i pilastri della destra del partito, quella che lo aveva governato – esso e il paese – dal 1997 (dall’ortodossia di politica estera alla flessibilità del mercato del lavoro). Perciò, dovrà ora affrontare la reazione dell’“establishment” del New Labour.

Anche se, forse, non del fratello – malgrado la curiosa invocazione di alcuni media al rispetto degli antichi diritti della primogenitura per cui avrebbe dovuto onorare il fratello maggiore senza mettersi in concorrenza con lui — che, pure, del New Labour del dopo Blair e Brown è parte maggiore; per ora David ha deciso di non entrare nel gabinetto ombra che Ed sta formando, secondo alcuni per non creargli e crearsi imbarazzi, secondo altri per condurre tra qualche tempo lui la battaglia fratricida: dopotutto è notoriamente ambizioso, poco incline al perdono e aveva apertamente puntato a quel posto.

Ed ha tenuto attentamente aperta la porta a una riconsiderazione da parte dei Liberal della loro posizione, visto lo scontento che monta dalla loro base per il costo in valori e in rispetto di sé che stanno pagando all’innaturale alleanza coi conservatori: con lui, vuole significare, non sarebbe stato impossibile trovare un accordo basato su valori comuni come lo è stato con Brown – tenendo a sottolineare quanto il Labour, anche se non certo il New Labour, consideri quanto loro sua naturale tradizione quella loro migliore, dei Lloyd George, Beveridge e Keynes.

Ma la battaglia cruciale sarà dentro il partito. Come capitò a Margaret Thatcher sull’altro versante nel 1975, quando divenne leader del partito conservatore, il gabinetto ombra vedrà in minoranza i suoi sostenitori convinti. Come fece lei, in direzione politica e ideologica opposta, solo la forzatura del messaggio di cambiamento, accompagnato dal realismo e dal dettaglio del cosa fare e a breve, potrà farli fuori: gradualmente.

Sarà importante vedere se cancelliere ombra diventerà ora quell’Ed Balls che, da candidato alla leadership, ha forzato sul partito, e in parte anche su Ed Miliband stesso, il tema del rifiuto duro ai tagli monstre della spesa pubblica promessi dal governo Cons-Lib; o se Ed Miliband punterà a una candidatura più blanda.

Il prossimo futuro dirà se il partito che ha ora affidato il suo futuro a lui, anche se con qualche stranguglione da parte di una maggioranza dei suoi massimi esponenti, taglierà corto davvero – in Parlamento, nel proprio messaggio e nelle scelte quotidiane, concrete (nomine, opzioni) delle sue circoscrizioni locali – col consenso neo-liberista asfissiante che ha dominato tutta la politica britannica a partire dagli anni ’90 e farà adesso quel che avrebbe dovuto fare con Brown almeno a partire dalla crisi finanziaria del 2008.

Abbandonerà, cioè, le esili ricette del correzionismo parziale cui Brown s’era affidato come primo ministro (per troppi anni lui stesso cancelliere e grimaldello del liberismo economico voluto da Blair per deliberata resa ideologica), decidendo di non cambiare agenda del tutto per recuperare l’elettorato scoraggiato ed in fuga ma limitandosi invece a un frenetico interventismo anti-crisi solo in parte efficace e non sufficiente, comunque, a vincere le elezioni.

Insomma, ci siamo. Di sicuro, questo esperimento del giovane Miliband sarà di interesse per tutti.

Domenica, 17. Ottobre 2010
 

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