Cinque domande sul futuro - Risponde Marino

Abbiamo rivolto ai candifati alla segreteria del Partito Democratico alcune domande per contribuire a rendere chiaro il contenuto delle diverse posizioni su alcuni problemi fondamentali. Le risposte di Ignazio Marino

La sorte del PD riguarda tutti. Partendo dall’importanza che il dibattito precongressuale nel PD assume per tutto il paese, E&L intende contribuire a rendere chiaro il contenuto delle diverse posizioni che si confrontano su alcuni nodi si cui si appunta in particolare l’attenzione, quanto meno agli occhi dei suoi lettori. Con questo spirito ha rivolto ai candidati alla segreteria del PD alcune domande. Ci sono giunte le risposte di Pier Luigi Bersani e di Ignazio Marino, che pubblichiamo separatamente.

E&L

- Se è vero che, per molti versi, siamo di fronte al peggiore governo di centro-destra nell’Unione europea ma pur con questo il centro-sinistra incontra grandi difficoltà ad imporre una salda e credibile alternativa, la vittoria di Berlusconi ed alleati deve forse essere collocata in una visione storico-politica di medio- lungo periodo, o è fondamentalmente la conseguenza di una competizione gestita in modo "sfortunato" o "sbagliato"dal centrosinistra?.

MARINO

- E’ indubbio che il centrosinistra italiano, come quello degli altri paesi europei, trova difficoltà a proporsi come alternativa alla destra. Sembra questo un fatto paradossale perché avviene proprio nel momento in cui il turbo-capitalismo è entrato in una crisi profondissima. La verità è che, mentre la destra in modo pragmatico, quanto spregiudicato, ha preso le distanze dal neoliberismo, la sinistra deve ancora fare i conti con l’eredità blairiana. Una posizione che ha vinto in quasi tutti i paesi europei a metà degli anni ’90, ma lo ha fatto senza avere un punto di vista critico rispetto al processo di globalizzazione. L’assenza di questo punto di vista critico ha messo la sinistra in difficoltà proprio di fronte alla crisi, si è trovata cioè impreparata. Ciò premesso, sarebbe sbagliato collocare la vittoria di Berlusconi in un processo oggettivo, quasi necessitato. Ci sono state responsabilità soggettive dei leader del centrosinistra. Il modo con cui è stata gestita la questione del conflitto di interessi ha dell’incredibile. Il centrosinistra aveva i numeri per regolarlo e non lo ha fatto. A questo si è aggiunto l’estremo grado di litigiosità registrato nella coalizione di centrosinistra, soprattutto durante il secondo governo Prodi.
E&L - In ogni caso, come ritiene che si possa ricostruire quell’unità delle forze politiche intorno alla Resistenza e alla Costituzione su cui la Repubblica ha affondato le proprie radici nel mezzo secolo seguito alla fine della guerra e alla caduta del fascismo? Più in particolare, come ritiene si possa recuperare una questione che ha avuto certamente un suo posto centrale tra gli elementi fondanti della Repubblica, per la formazione della coscienza storico-politica: la questione del "dualismo italiano" e la "questione meridionale", che il centrodestra ha definitivamente abbandonata a se stessa, rovesciando completamente l’agenda, iscrivendovi la "questione settentrionale"? In questo quadro, non ritiene che il federalismo fiscale possa presentarsi anche come un’opportunità, ma certamente come una minaccia di deriva anti-unitaria e anti-meridionalistica? Come ritiene che il Pd debba affrontare questa situazione? Quale alternativa politico-strategica pensa di proporre agli italiani?
L’unità delle forze politiche intorno alla Resistenza e alla Costituzione si può ricostruire soltanto con una forte iniziativa del Partito Democratico. Il Partito Democratico deve curare, a partire dallo sviluppo di una sana vita democratica al suo interno, la crescita di un forte senso civico. L’Italia ha bisogno di tornare ad avere a cuore la propria democrazia e ciò significa declinare in positivo e con orizzonte largo ogni politica e ogni decisione, combattendo le disuguaglianze economiche e sociali, lottando contro le discriminazioni e per i diritti di tutti, mirando all’integrazione di tutti i cittadini.

MARINO - Avere a cuore la democrazia significa rimettere la questione meridionale al centro di un grande progetto di governo nazionale. Diciamolo chiaramente, anche sulla questione del "dualismo italiano" il centrosinistra ha responsabilità gravi. Nei primi anni del suo governo ha avuto idee e posizioni chiare. Ciampi era fortemente convinto che solo dal Sud può derivare una crescita duratura del paese e aveva ben chiaro il nesso tra la nuova fase dell’economia italiana, dopo l’ingresso nell’euro, e il rilancio del Mezzogiorno. E’ per questo che lanciò la cosiddetta Nuova Programmazione. Questa politica fu avversata, sia da chi riteneva che lo sviluppo potesse realizzarsi solo con gli incentivi fiscali, senza alcun intervento pubblico, sia da chi riteneva non opportuno investire risorse nel Sud perché convinto che l’Italia potesse crescere solo al traino del Nord. Con la caduta del governo Prodi e l’elezione di Ciampi al Quirinale, il nesso politico tra sviluppo del Sud e sviluppo del paese si è spezzato e da allora non si è più ricostituito. In assenza di una linea capace di affrontare il tema dell’unità del paese, il centrosinistra ha poi finito, da una parte, in molti casi, col diventare subalterno all’agenda leghista, e dall’altra ha finito col lasciare andare alla deriva i suoi gruppi dirigenti meridionali senza assumere alcuna iniziativa per rinnovare la classe dirigente meridionale del Partito, anche a fronte di clamorosi fallimenti e di gravi fatti di malcostume.

Che fare allora? L’Agenzia per il Mezzogiorno di Berlusconi non serve. Essa presuppone un Sud indifferenziato tutto depresso, che non c’è più. Non c’è bisogno di una nuova cabina di coordinamento: c’è il Cipe che è stato trasferito presso la presidenza del Consiglio. Gran parte degli interventi infrastrutturali (a partire dall’Anas e dalle Ferrovie) devono essere ricondotti alla logica dell’ordinarietà. Occorre invece concentrare gli investimenti sulla ricerca e sul capitale umano perché in un’economia aperta (in cui tutte le aziende possono andare in paesi dove il lavoro costa molto meno) non ha senso parlare di incentivi e gabbie salariali. Per il Mezzogiorno ci vogliono più beni pubblici, più Stato di qualità, istituzioni più efficienti. La fase applicativa della legge sul federalismo fiscale può costituire un’importante occasione in tal senso. L’obiettivo però, non deve essere quello di sottrarre risorse al Sud, ma di incentivare al Sud come al Centro e al Nord l’efficienza nell’uso delle risorse pubbliche. Vanno perciò premiate le amministrazioni efficienti e punite quelle inefficienti con commissariamenti per chi ha fallito e prodotto dissesti.

E&L

- L’Italia continua a mancare di un sistema universalistico di protezione sociale. Il nostro sistema si fonda su un impianto lavoristico che, tra l’altro, non tiene conto dei profondi cambiamenti nel mercato del lavoro: il lavoro cosiddetto atipico ne risulta doppiamente penalizzato, in termini di precarietà e di protezione sociale. La realizzazione di un sistema adeguato di "ammortizzatori sociali", per quanto continuamente evocato, è rimasto disatteso sotto tutti i diversi governi che si sono succeduti. Al contrario, è continuamente riproposta la questione delle pensioni che è l’unica ad avere avuto una soluzione strutturale con il passaggio al sistema contributivo e la flessibilità dell’età del pensionamento, mentre l’età media effettiva del pensionamento si è progressivamente assestata sui livelli medi europei. Il problema non risolto è piuttosto quello dei lavoratori per i quali è prevista una minore contribuzione con una prospettiva di pensione del tutto insufficiente. Il costo del sistema di protezione sociale in Italia rimane significativamente al di sotto dei grandi paesi con i quali ci confrontiamo, come la Francia e la Germania. Pur in presenza, delle difficoltà connesse all’indebitamento pubblico, è la stessa crisi che rafforza l’esigenza di un compiuto progetto di adeguamento del sistema di protezione sociale. Secondo lei quali possono essere le iniziative capaci di rendere questo problema una priorità dell’agenda politica sia a breve che a medio termine?

MARINO

- Quello del welfare è un campo cruciale che determina profondamente il tipo di società in cui vivere. Un campo vasto, tutt’altro che circoscritto al pur prevalente settore previdenziale, che incorpora una serie di altri settori (sanità, assistenza, servizi alla persona, politiche abitative) e che, se inteso come fattore di formazione del capitale sociale include anche le politiche scolastiche e formative e i servizi dell’impiego. Un campo ormai contrassegnato da una forte e crescente articolazione istituzionale delle responsabilità di decisione, programmazione, spesa, organizzazione e gestione dei servizi (allocati fra Stato centrale, regioni, comuni, zone sociali e province) e delle funzioni di progettazione e erogazione degli interventi e dei servizi (mix pubblico-privato). Un campo, per finire, in cui si determinano i gradi di giustizia, sicurezza ed equità sociale disponibili in un paese; nel suo complesso e per i vari segmenti di popolazione.

La qualità sociale - del convivere - dipende largamente dalla presenza, appropriatezza ed efficacia di misure di protezione e di promozione sociale capaci di attuare, almeno in parte, condizioni di libertà sostanziale del lavoro e della cittadinanza. La disponibilità di servizi e di beni pubblici contribuisce infatti alla redistribuzione della ricchezza nazionale e a creare condizioni di maggiore parità nell’accesso al benessere.

In questo contesto è una priorità assoluta quella di realizzare un adeguato sistema di ammortizzatori sociali. Per quanto riguarda le pensioni, credo che una forza politica responsabile non possa evitare di fare i conti con l’aumento, destinato ancora ad incrementarsi, delle aspettative di vita. Non basta però agire soltanto sull’età legale di pensionamento: per innalzare l’età di fatto occorrono politiche per l’invecchiamento attivo di tipo scandinavo (formazione permanente, pensione parziale per chi lavora a part-time, ecc.). C’è poi la questione delle donne: non penso che si possa continuare a surrogare l’assenza di servizi per l’infanzia e per la non autosufficienza degli anziani, con un’età di pensionamento più bassa. Una politica di sviluppo dei servizi non aumenterebbe soltanto l’occupazione di uomini e donne in questi settori, ma sarebbe in grado di innalzare il tasso di attività delle donne che resta tra i più bassi d’Europa. Sarebbe questo un vero investimento per rendere il nostro paese più civile e innalzare il Pil potenziale.

E&L

- Altra grande questione è quella delle diseguaglianze. In Europa siamo il paese con le maggiori diseguaglianze di reddito e in compenso anche quello con la minore mobilità sociale. Questa contraddizione è rafforzata dall’innovazione silenziosa che comporta una minore regolazione per chi sta in alto nella scala sociale e meno diritti per chi sta in basso. Anche per questa via la società viene, di fatto, ingessata. A pagarne le spese sono soprattutto i giovani. Non a caso i tassi di attività e i tassi di occupazione per i giovani sotto i 30 anni in Italia sono tra i più bassi dell’Europa. Il fatto è che le "nuove leve" italiane sono sensibilmente svantaggiate rispetto ai loro coetanei, non tanto sotto il profilo del benessere economico (al quale bene o male provvede la famiglia) ma sotto quello ben più rilevante dell’apprendimento, della conoscenza, dell’autonomia. Nella ricerca, nell’insegnamento universitario, nelle libere professioni, è difficile entrare. Se non (assai spesso) per raccomandazione e cooptazione. Per questo molti brillanti giovani neolaureati preferiscono andare all’estero. Il paese invecchia, non solo per il basso tasso di natalità, ma anche perché inossidabili corporazioni gerontocratiche presidiano inesorabilmente ogni possibilità di accesso. E un paese che invecchia non può certo avere un radioso futuro. A suo giudizio come, con quali misure, si può avviare una prospettiva diversa?

MARINO

- Il tema della diseguaglianza è un tema centrale, non soltanto per motivi sociali, ma anche per il funzionamento efficiente della nostra economia. L’Italia è tra i paesi più ineguali: occorrono politiche pubbliche capaci di invertire questa tendenza. La questione della mobilità sociale è cruciale. Nel nostro paese va introdotta la cultura del merito, per far ciò occorrono sistemi di valutazione e di verifica in grado di funzionare correttamente in tutti i settori. Per innescare questo processo virtuoso vanno innanzitutto ridefinite le modalità con cui vengono selezionate le persone che ricoprono ruoli di responsabilità: parlo dei vertici delle aziende pubbliche, degli ospedali, delle Pubbliche Amministrazioni. La classe dirigente del paese deve essere scelta esclusivamente in base alla formazione, alla competenza, al merito. Bisogna dire basta alle raccomandazioni e alle ingerenze della politica e proprio dalla politica deve partire il buon esempio: bisogna ridare agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e di valutarli. Vogliamo un’Italia che utilizzi al massimo le capacità dei propri cittadini, dando loro la possibilità di esprimere al meglio le proprie potenzialità, per far questo occorre che le nostre università siano organizzate, valutate e finanziate alla stregua dei migliori atenei del mondo; soltanto così i nostri ricercatori potranno lavorare e studiare in Italia senza dover necessariamente andare all’estero.

E&L

- Infine, tra le questioni aperte, c’è il problema della ricerca di un’etica comunitaria condivisibile da uomini e donne, nel pluralismo di fedi e culture. Condivide la convinzione che questa ricerca sia necessaria per dare fondamento alla democrazia politica e che un’etica condivisa non possa che nascere dalla dialettica delle diverse posizioni e dalla ricerca delle migliori soluzioni possibili per la convivenza sociale, attraverso una mediazione da attuarsi nel rispetto reciproco? Non le sembra che sia contraddetta da rigidi schieramenti confessionali ma anche dalle posizioni che negano in radice la capacità di generare e possedere un’etica? Come pensa che il PD debba affrontare le posizioni di chi tende a rifiutare che valori e convinzioni siano relativi a chi li professa e che, di conseguenza, non possano essere imposti gli altri?

MARINO

- Uno Stato democratico non impone alcuna scelta individuale, ma difende ogni religione, ogni credo, ogni opinione politica o ideologica, nei limiti in cui esse non contrastino con i principi di uguaglianza sostanziale e inclusiva della democrazia. Lo Stato laico deve sempre proteggere i diritti civili con norme rispettose degli orientamenti e della libertà di ciascuno. Deve assicurare diritti uguali per tutti, siano essi gli ammalati, le donne, i bambini, le coppie di fatto, gli omosessuali, chiunque altro. La laicità io la vedo innanzitutto come un metodo. Laicità per me significa affrontare ogni questione con rigore, nell’interesse generale e non di una parte sola. Significa porsi nel dibattito non pensando di possedere la verità. Significa saper ascoltare le ragioni altrui e avere l’umiltà e l’intelligenza di confrontarsi con chi la pensa nella maniera opposta. Laicità significa anche che quando si chiude il dibattito democratico e si prende una decisione, anche attraverso una votazione quando è necessario, la si accetti tutti; nel caso delle decisioni prese all’interno del Partito Democratico, si tratta poi non soltanto di sentirsi vincolati, ma anche di sostenerle con lealtà.
Venerdì, 23. Ottobre 2009
 

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