Contro l'evasione serve un fisco diverso (1 commento)

Il nostro sistema è tutto incentrato sull'Irpef, ma dopo 40 anni di tentativi bisognerebbe prendere atto che proseguendo su questa strada non si riuscirà mai a far pagare le tasse a tutti. Bisognerebbe ridurre nettamente questa imposta e recuperare gettito dal lato del patrimonio e dei consumi

La vicenda dello scudo fiscale proposto dal governo e approvato dal Parlamento è l’ennesima riproposizione di un tipo di interventi a favore dell’illegalità. Tali sono, infatti, tutti i condoni, espliciti o impliciti, fatti negli ultimi decenni nel nostro paese in materia edilizia, fiscale, contributiva e quant’altro. A nessuno di questi condoni o sanatorie è seguita una svolta nel settore di competenza che li giustificasse: saniamo il passato perché da oggi si cambia. Tutto procede come prima in attesa di una nuova sanatoria. Il nuovo scudo costituisce l’ennesima riprova che nel nostro paese ad essere corretti nei confronti delle leggi dello Stato si finisce per essere cornuti e mazziati. Affermazione sconsolante per chi crede in uno Stato di diritto, ma che rischia di generare nell’opinione pubblica un forte senso di sfiducia che può portare, fermo restando il giudizio negativo su questo tipo di provvedimenti, a una loro accettazione come male minore rispetto a un’alternativa che si teme possa comportare un aumento della pressione fiscale su chi le tasse le paga. Grave sotto quest’aspetto è, da parte dell’opposizione, la mancanza di proposte alternative per reperire le risorse attese dallo scudo fiscale.

 

Questa situazione di sfiducia è rafforzata da alcune considerazioni sul ruolo ricoperto dall’Irpef nel nostro sistema fiscale e dagli scarsi risultati ottenuti in almeno quaranta anni di lotta all’evasione fiscale da parte del movimento sindacale e della sinistra.

 

L’art. 53 della Costituzione afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” La riforma tributaria del 1973 ha individuato nel reddito personale il cardine del sistema, dando sostanzialmente alla sola imposta sul reddito il compito di misurare la capacita contributiva del cittadino e di realizzare il dettato costituzionale in merito alla progressività.

 

Di fatto l’Irpef fallisce in entrambi questi obiettivi. Non è in grado di misurare la capacita contributiva per effetto sia dell’evasione sia dell’esclusione dalla sua base imponibile di numerose tipologie di reddito. L’Istat stima nel 17/18% l’ammontare dell’economia sommersa, mentre l’Agenzia delle entrate in un documento del 2004 stimava il sommerso pari al 20% del Pil. In termini attuali si tratterebbe di circa 300 miliardi di euro di base imponibile nascosta per un ammontare di mancate entrate contributive e fiscali tra i 100 e i 150 miliardi (ma per molti osservatori l’evasione tocca non meno di 200 miliardi di euro).

A questo si aggiunge che alcune tipologie di reddito (soprattutto di natura finanziaria) non costituiscono base imponibile Irpef e sono soggette a imposta sostitutiva proporzionale con aliquota spesso inferiore a quella minima dell’Irpef, mentre altre tipologie di reddito che pur rientrano nell’imponibile Irpef sono calcolate in modo presuntivo e con valori lontani da quelli di mercato (le rendite catastali ad esempio).

 

Chi non sfugge all’accertamento e alla progressività sono i redditi da lavoro dipendente e da pensione e i redditi di coloro tra professionisti e autonomi che lavorano per imprese. Non sfuggono insomma i redditi soggetti a sostituto d’imposta.

 

L’Irpef pertanto non è in grado di misurare e colpire la capacità reddituale dei cittadini e la sua progressività si esercita solo su una parte. Ad aggravare questa situazione si aggiungono le prestazioni sociali e sanitarie limitate in base essenzialmente al reddito Irpef. I contribuenti onesti a medio-alto reddito sono esclusi da queste prestazioni o sono chiamati a pagare un contributo di spesa e sono così sottoposti a una doppia progressività, mentre chi evade ne può godere liberamente.

 

Quarant’anni di lotta all’evasione non hanno dato risultati tangibili e non hanno permesso né di ridurre il deficit pubblico né di abbassare la pressione fiscale sul lavoro. Non si vogliono negare gli sforzi in materia dei governi di centrosinistra, ma i dati sulle entrate fiscali ci dicono che oggi l’Irpef è essenzialmente un’imposta sui redditi da lavoro dipendente e da pensione, che l’area dell’evasione non si è significativamente ridotta.

 

Oltre ad essere iniquo il sistema fiscale italiano è molto complesso e poco trasparente. Basta contare il numero delle pagine necessarie per le istruzioni alla compilazione dell’Unico per farsi un’idea della complessità di un’imposta che dovrebbe essere alla portata della maggioranza dei cittadini, o soffermarsi sul fatto che il nostro paese vanta il maggior numero di commercialisti e tributaristi rispetto a tutti gli altri singoli paesi dell’UE. L’irrazionalità, la complessità e la poca trasparenza del nostro sistema fiscale foraggiano, insomma, uno stuolo di addetti ai lavori, così come l’arretratezza del nostro sistema giudiziario foraggia un numero abnorme di avvocati.

 

Perché la lotta all’evasione non ha dato e non da i risultati sperati? Vi è certo un problema politico che nasce dal fatto che nel nostro paese vi è un numero di lavoratori autonomi e di piccole imprese sensibilmente superiore a quello degli altri maggiori paesi europei. Questo comporta un peso politico maggiore di queste categorie che si riflette nel comportamento legislativo di tutti i partiti, anche se non nell’identica misura. Il diverso atteggiamento delle parti politiche nei confronti dell’evasione determina una discontinuità forte nella politica antievasione con effetti negativi sull’amministrazione e sui messaggi ai contribuenti. L’arrivo di Vincenzo Visco alla guida delle Finanze tre anni fa ha determinato un incremento di entrate a prescindere dalle nuove normative introdotte; il ritorno di Tremonti ha prodotto l’effetto opposto, cui si è aggiunta l’eliminazione della tracciabilità istituita dal governo Prodi.

 

Vi è un’inefficienza della macchina tributaria e una legislazione sul contenzioso tributario (con qualche positivo mutamento negli ultimi tempi) che non favorisce nei tempi e nei modi un recupero di gettito. E’ da rilevare, peraltro, che l’aumento dei controlli, delle certificazioni e dei documenti non ha prodotto fino ad oggi risultati eclatanti, ma spesso aumentato solo gli obblighi burocratici dei contribuenti onesti. Questo succede un po’ in tutti i campi: non basta, come spesso succede, approvare norme che aumentano obblighi e documentazione in termini di fisco, di sicurezza e altro se poi si tralascia il controllo. L’effetto è di aumentare gli adempimenti burocratici, il potere di vessazione della pubblica amministrazione, il disagio di chi rispetta la legge, senza i risultati positivi attesi. Bisognerebbe convincersi che vale più una pubblica amministrazione efficiente che una miriade di leggi.

 

Credo, tuttavia, che il problema sostanziale per capire gli scarsi risultati della lotta all’evasione stia nella particolare struttura produttiva del nostro paese con un alto numero di piccole e medie imprese e con un elevato numero di lavoratori autonomi e di professionisti. Tutto questo, oltre agli effetti politici sopra ricordati, rende oggettivamente più complesso nel nostro paese l’accertamento della capacità contributiva. La possibilità di evasione e di elusione di imprese e autonomi è enorme e, credo, poco controllabile. Lo dimostrano i dati delle dichiarazioni dei redditi e lo constata nell’esperienza quotidiana chi ha amici o parenti che esercitano un lavoro autonomo o che sono titolari di un’impresa.

La metà circa delle imprese italiane presenta bilanci in rosso, solo lo 0,33% dei contribuenti Irpef ha un reddito superiore ai 150.000 euro. Il 24% dei lavoratori dipendenti denuncia un reddito inferiore a 10.000 euro e la percentuale sale al 31,6% tra gli imprenditori. L’89% dei dipendenti dichiaranti ha un reddito imponibile, la percentuale scende al 69% per l’insieme di professionisti, imprenditori e agricoltori.

 

Da controlli recenti della Guardia di finanza è emerso che quasi la metà di contribuenti che ha automobili in leasing dichiara un reddito inferiore alla rata annuale di leasing. Si potrebbe continuare con numeri ed esempi a conferma di ciò che è universalmente conosciuto: chi può evade l’Irpef. Lo fanno anche i lavoratori dipendenti e i pensionati se hanno altre tipologie di reddito non soggette a sostituti d’imposta. Si è spesso costretti dai sostituti d’imposta ad accettare pagamenti parzialmente in nero e a volte è un accordo e non un’imposizione.

 

Si evade sul reddito, ma si evade anche, e prima, sull’Iva e in generale sulla tassazione dei consumi. L’Italia presenta, rispetto agli altri paesi dell’UE, un gettito da imposte sui consumi più basso sia in percentuale del gettito totale sia in percentuale del PIL.

 

Che fare dunque per evitare una crisi di rigetto verso il sistema fiscale di cui non solo si notano i segni, ma si possono constatare gli effetti negli ultimi risultati elettorali? Il vantaggio assegnato a Prodi dai sondaggi preelettorali del 2006 è evaporato nell’ultima parte di campagna elettorale quando nella discussione sulla riduzione, o il non aumento, delle tasse il centrodestra è risultato più credibile. La prima finanziaria dell’ultimo governo Prodi con la sua riforma fiscale ha determinato il crollo dei consensi al governo e costituito la premessa per la successiva vittoria di Berlusconi.

 

Il centrosinistra non appare nell’immagine degli elettori come il partito che difende le conquiste sociali (viste le posizioni liberiste di alcuni esponenti il dubbio è quanto meno legittimo), ma il partito pronto ad aumentare le tasse, in primis l’Irpef, a difesa dei saldi di bilancio. E l’aumento dell’Irpef, o la sua non diminuzione, riguarda in primo luogo gli elettori o quelli che dovrebbero essere i potenziali elettori del centrosinistra. Berlusconi e Tremonti non corrono questo rischio, sono credibili quando affermano che non aumenteranno le imposte, in particolare l’Irpef. Se proprio hanno bisogno di maggiori entrate, fanno un condono che ha il “pregio” nell’immediato di lasciare indenni i contribuenti onesti. Nel futuro questi ultimi ne pagheranno le conseguenze, ma la politica italiana è dominata dall’oggi.

 

Se tutto questo è vero, va ripensato il ruolo dell’imposta sui redditi, va modificata la struttura del nostro sistema fiscale, va ricercata in altro modo l’applicazione dell’art. 53 della Costituzione. L’Irpef deve essere drasticamente ridimensionata. Non si tratta d’interventi marginali ma sostanziosi, fortemente avvertibili nelle buste paga mensili e nelle pensioni. Un intervento, quindi, che deve ammontare a non meno di due punti di Pil (30 miliardi di euro). Perché, se si condivide quest’operazione, se la diminuzione d’imposta deve essere avvertibile, ad esempio 100 euro mensili netti in più in busta paga e nella pensione ogni mese, le cifre occorrenti sono queste.

 

Questo pone ovviamente un problema di gettito, sia perché la situazione dei conti pubblici non consente una perdita di questo tipo, sia perché, se fosse possibile, questo metterebbe in discussione l’attuale livello della nostra spesa sociale. La perdita di gettito va dunque compensata con un incremento delle altre imposte, da quelle sui consumi a quelle sul patrimonio, e da una modifica della tassazione delle rendite finanziarie. E’ un’idea che comincia ad affacciarsi in molti commentatori, fatta propria in linea di principio dalla Cisl, ma che non trova ancora spazio nel PD e nei suoi candidati alla segreteria, forse perché troppo presi nelle manovre congressuali.

 

Il patrimonio e i consumi sono un indicatore del reddito. Attraverso di loro si può colpire fiscalmente quello che non si riesce a fare attraverso l’Irpef. E si può realizzare anche la progressività prevista dall’art. 53 per l’intero sistema fiscale.

 

Non vi è dubbio che questo comporti l’abbandono di ferree certezze e convincimenti. Il ruolo dell’imposta sui redditi come cardine del sistema fiscale e della progressività è stato sempre fermamente difeso dalla sinistra, ma occorrerebbe prendere atto che il suo presupposto, la capacità di accertamento di un ammontare accettabile del reddito complessivo, non si è mai realizzata e difficilmente si realizzerà, almeno in tempi politicamente accettabili.

 

Occorre allora trovare nuove strade anche per evitare che nel prossimo futuro governi nazionali o locali a fronte di situazioni di emergenza non seguano la strada più facile di aumentare Irpef e addizionali con un gettito assicurato dai sostituti d’imposta. Qualcuno ha paragonato l’Irpef a un bancomat per il governo: basta aumentare le aliquote e le entrate sono assicurate. E’ certamente vero, ma solo per una parte dei contribuenti.

 

Pesa ancora il comportamento di molti comuni del centrosinistra che, a fronte dei tagli nei trasferimenti agli enti locali, hanno aumentato le addizionali comunali, riducendo magari le aliquote Ici sulla prima casa. Hanno in pratica ridotto un’imposta su redditi da patrimonio e aumentato l’imposta su redditi in massima parte da lavoro e da pensione. E’ questa l’idea di equità fiscale nel centrosinistra?

 

Quello proposto è un cambiamento di prospettiva, una presa d’atto di una realtà economica e sociale diversa da quella solo immaginata o desiderata. Non è una rinuncia alla lotta all’evasione fiscale, significa solo accettare che questa richiede tempi lunghi e che incontra limiti oggettivi nella realtà sociale e produttiva del nostro paese.

 

 

Commenti

  

Carlo Clericetti – Sono d’accordo con gran parte di questa analisi, ma non sul fatto che il patrimonio sia sempre un buon indicatore del reddito. In Italia una parte molto rilevante del patrimonio complessivo è costituita dalla proprietà immobiliare. Sono frequenti i casi in cui il patrimonio immobiliare posseduto non ha rapporto con il reddito presente, o perché ereditato, o perché frutto di un livello di reddito che ora non si ha più, come è spesso il caso delle persone anziane. Il sistema di tassazione dovrebbe essere tarato in modo da tener conto delle posibili diverse situazioni.
Domenica, 18. Ottobre 2009
 

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