Gino Giugni, La memoria di un riformista

Un racconto autobiografico che s'intreccia con lunghi tratti di storia e memoria collettiva. Giugni ripercorre gli anni della formazione culturale, dell'attività accademica e dell'esperienza politica, nei quali è centrale il tema del lavoro, dei diritti e dei rapporti sociali ed istituzionali connessi al lavoro
Il libro di Gino giugni sarà presentato a Roma il 31 maggio - Sala Refettorio, Palazzo San Macuto, via del Seminario 76, ore 17.00 - da Aris Accornero, Giuliano Amato, Simona Colarizi, Andrea Ricciardi, Tiziano Treu. Modera Giovanni Floris
 
 
Non è facile parlare di Gino Giugni "che parla di Gino Giugni". Oltretutto il racconto autobiografico, reso o no in forma d’intervista, è il genere letterario meno semplice da “trattare” essendo  l'autobiografia il luogo della libertà espressiva per definizione. Libertà di forma e di contenuto. Libertà di dire e non dire. Sicché commentare un racconto autobiografico è come voler disegnare i baffi ad un'immagine riflessa allo specchio o pretendere di mettere la cravatta all' "autoritratto nudo" di De Chirico. Questo rischio è più frequente quando si interviene su memorie che nascono da una storia individuale e in essa si esauriscono. Diverso è il caso del racconto autobiografico che s'intreccia con lunghi tratti di storia e memoria collettiva. Il racconto da protagonista o da testimone partecipe di certi fatti (che sono anche emozioni, riflessioni, giudizi, assunzioni di responsabilità) dà valore all'esperienza singola, e quindi alla storia. I ricordi rendono situazioni, sentimenti, ruoli della soggettività, con modalità diverse dalla tradizionale ricostruzione storica, che si limita a riprodurre le connotazioni politiche, sociali e istituzionali.

 

A questa categoria di  memorie appartiene il racconto che Gino Giugni fa della sua vita, ripercorrendo gli anni della formazione culturale, dell'attività accademica e dell'esperienza politica, nei quali è centrale il tema del lavoro, dei diritti e dell'ampia sfera di rapporti sociali ed istituzionali che il lavoro origina e comprende. Temi che nell’attività scientifica e politica di Giugni sono inquadrati in un riformismo ricco di contenuti e improntato all'elaborazione di programmi concreti. Riformismo che, come ricorda Andrea Ricciardi nell'Introduzione, è un tratto costante delle analisi teoriche di Giugni e della sua prassi di studioso e di politico.  Di questo tipo di memorie credo sia più opportuno fare, più che un commento, un "invito alla lettura" e insieme  alla (ri)lettura di alcuni scritti di Giugni, divenuti dei classici del diritto del lavoro e delle relazioni industriali, ai quali Giugni fa riferimenti rapidi nella "memoria di un riformista" ma per nostra fortuna più analitici nelle note, che sono un prezioso archivio bibliografico, un libro nel libro.

 

Le domande dell'intervistatore agiscono su un doppio livello: quello di Giugni che ricorda e stabilisce un rapporto tra la sua vita e la lunga storia sociale del Novecento, non solo italiano, che egli ha frequentato; e quello di chi legge oggi, nel 2007, la memoria di quella storia alla luce ancora intensa del XX secolo. Per questo motivo ritengo che alla lettura della "memoria di un riformista" possano essere interessati soprattutto i più giovani, che dalle risposte di Giugni alle domande di Ricciardi hanno modo di apprendere quanto può contribuire alla costruzione e alla spiegazione della loro esperienza personale e culturale e sindacale. E trovare risposte a domande su temi difficili. Come quelle relative alla genesi, alla natura e all'evoluzione del riformismo italiano, di quello sociale in particolare, di cui, come ricorda Giugni, sono poco noti i referenti anche perché è carente una lettura critica delle origini e dell'evoluzione del riformismo sociale in Italia.

 

Nel ricordare episodi e fatti della sua vita Giugni comunica l' importanza di scelte personali che per vari aspetti hanno acquistato un significato rilevante per molti di noi: nell’ambiente sindacale, in quello scientifico, in quello politico. A Giugni, del resto, è riconosciuto il merito di aver sensibilmente contribuito al rinnovamento e al progresso della cultura giuslavoristica. Tracce profonde dell'insegnamento di Giugni sono inoltre visibili nella legislazione sociale prodotta tra gli anni Settanta e la fine degli anni Novanta, spesso con la sua diretta partecipazione in veste di consulente o di parlamentare o di ministro.

 

All'importanza del suo contributo al rinnovamento del diritto del lavoro, e alla politica del lavoro, Giugni dedica invero poche pagine, privilegiando invece il ricordo di studiosi, come Selig Perlman, Otto Kahn-Freund, Giovanni Tarello, che egli indica come le persone che hanno ispirato o variamente influenzato la sua formazione, e in particolare la monografia sulla "Introduzione allo studio dell'autonomia collettiva". Sicché quella parte rilevante dell' opera di Giugni va ricostruita "montando" vari pezzi dell' intervista distribuiti nei diversi capitoli e frugando tra le note e tra gli scritti ai quali esse rinviano.

 

Il rinnovamento operato da Giugni ha riguardato anzitutto la scelta del metodo. La critica del metodo dogmatico o formalistico (da non confondersi con la teoria normativistica, verso la quale Giugni ha invece manifestato una sostanziale adesione), attinta da fonti assai importanti (come Tullio Ascarelli in un primo tempo, e poi gli studiosi dianzi ricordati) e il conseguente rinnovamento metodologico viene associato da Giugni ad una precisa scelta ideale e politica. Questo rinnovamento poggia sulla constatazione, dice Giugni in alcune delle sue opere citate in nota, che "il riformismo sociale, dal momento che non ha l' ambizione di cambiare il mondo in dieci giorni, trae alimento essenzialmente dall'osservazione empirica; nel procedimento di qualificazione della fattispecie, deve in primo luogo analizzare i contenuti reali di essa; nell'impiego delle categorie giuridiche, deve essere ben consapevole della loro natura strumentale e caduca". Del tutto conseguente appare pertanto la ricerca di apporti dalle scienze collaterali, "l'analisi della law in action anche con l'ausilio di strumenti della sociologia del diritto, l'osservazione dei fenomeni di giuridicità extrastatuale, l'impiego di generalizzazioni, pur sempre necessario per far scienza. Ma secondo tipologie ben circoscritte, analitiche e non totalizzanti".

 

Più direttamente coinvolta in una scala di valori politico-ideologici appare un'altra "scelta" fatta da Giugni, che nei confronti di quella prima ricordata presenta comunque forti elementi di simbiosi: ed è l'attenzione, se non la posizione di privilegio, accordata all' autonomia collettiva e, nell'ambito di essa, all'autonomia sindacale, costruita come un sistema tendenzialmente autosufficiente, capace di produzione normativa, di amministrazione, e anche di giurisdizione. E' già alla fine degli anni Cinquanta che Giugni sente viva l' esigenza di occuparsi dei contenuti normativi dell'autonomia collettiva attingendo al giacimento della stessa autonomia negoziale. Giugni infrange dichiaratamente il mito della statualità del diritto ricorrendo a una nuova teoria sistematica ed interpretativa che mira a fornire un adeguato schema conoscitivo dei rapporti contrattuali collettivi, attribuendo natura originaria, fondata sulla capacità di produrre da sé le norme destinate a regolare a produzione giuridica, al sistema stesso delle relazioni intersindacali, considerato appunto quale ordinamento irriducibile ai soli dati preesistenti dell'ordinamento statuale.

 

Si afferma in altre parole, e su basi paritarie, il cosiddetto ordinamento intersindacale (la cui teoria fu enunciata in "Introduzione allo studio dell' autonomia collettiva", Milano, 1960), nell'ambito del quale "contratto e obbligazione si riqualificano nella peculiare luce di strumenti organizzativi del potere sociale". Sarà proprio sul fondamento - benché talora messo in discussione - di questa inedita visuale che diverrà possibile, negli anni immediatamente successivi, prendere finalmente contatto, in termini rigorosamente giuridici, con una realtà altrimenti difficilmente attingibile: quella dell'intima struttura (non soltanto del contratto collettivo in sé e per sé considerato, ma) della contrattazione collettiva intesa come processo contrattuale che, specie se sorretto da formali clausole di rinvio, si snoda e si articola a vari livelli; dei riflessi  che questo produce sugli obblighi e sui diritti delle parti sindacali stipulanti; del contenuto di effetto obbligatorio dello stesso impegno testuale di tregua, ricondotto al dominio delle sole relazioni tra i gruppi; del significato da assegnarsi, in particolare alla contrattazione aziendale per un verso e per altro verso ai procedimenti (conciliazione e arbitrato) di cosiddetta "giurisdizione privata", e così via.

 

Ora, il peso attribuito all'autonomia non significava un primato rispetto alla legge né si caricava di valenze pansindacaliste. Secondo Giugni, nell'ordine istituzionale non v'è una gerarchia tra ordinamenti separati né una riserva normativa né un'immunità del sindacato rispetto all'ordinamento giuridico generale, fatta salva quella che quest'ultimo stesso gli riconosce, specie attraverso la garanzia della libertà sindacale e l'ampia nozione che di essa si è ormai consolidata. Ed è appunto questa premessa a concedere spazio e giustificazione all'idea di un intervento legislativo di sostegno all'autonomia sindacale, che è stata all' origine dei titoli II e III dello Statuto dei lavoratori.

 

La teoria dell'ordinamento intersindacale non ha fornito solo una cornice per l'indagine sui fenomeni di originarietà normativa nel campo dei rapporti di lavoro, ma si è dimostrata anche di utile apporto conoscitivo per i vari aspetti di rilevanza degli istituti collettivi nell' ambito dell' ordinamento giuridico generale. L'impiego della dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici ha consentito - come ricorda Giugni in altri scritti - la conquista di uno spazio culturale che il legalismo allora dominante, pur di fronte alla carenza di norme positive dovuta alla mancata attuazione costituzionale, manteneva preclusi, stringendo il diritto sindacale, che pur si stava formando a dispetto dell'inerzia del legislatore, nella duplice morsa del sopravvissuto sistema di concetti cresciuto sull'ordine corporativo, e di ipotesi legislative non attuali, e che mai tali sarebbero diventate.

 

Il contributo di Giugni riguarda anche la forma, lo stile, il modo di scrivere e comunicare: alieno da compiacimenti estetici, lo stile di Giugni è fatto di “una prosa essenziale, basata sul razionale impiego del linguaggio, una prosa plasmata sul periodo inglese e tutta fatta di soggetti, verbi, complementi, uno in riga dopo l’altro, e tutti pieni di significati trasparenti” (come ricorda Giugni in un altro dei suoi scritti citati in nota). Questo uso della lingua, che fra l’altro ha favorito la traduzione e la diffusione di vari scritti di Giugni in altre lingue, lo ritroviamo anche nell’intervista di Ricciardi, nelle pagine che parlano di vicende drammatiche come in quelle in cui più libera scorre la vena umoristica di Giugni.
 

Gino Giugni

La memoria di un riformista
a cura di Andrea Ricciardi
Il Mulino, Bologna, 2007
pagine 307, euro 16,50
Sabato, 26. Maggio 2007
 

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