A sinistra due lampi nel buio

Il voto è andato come previsto dai sondaggi, ma vale la pena di notare le balle di Renzi, l'emorragia di elettori dal Pd, le sberle alla Lega e un paio di eccezioni alla debolezza mostrata dal mondo frammentato alla sinistra del Pd: prima di tutto la Napoli di De Magistris, ma anche, davvero inaspettata in una zona tradizionalmente di destra, una lista civica che va al ballottaggio a Latina
Dopo il primo turno di votazioni amministrative, più che un ennesimo commento ci si può permettere qualche spigolatura, avendo constatato che il quadro generale non si è discostato molto da quello tratteggiato in precedenza da previsioni e sondaggi.

Renzi: scontento. Ma anche un po' suonato – Che fosse in difficoltà era chiaro a tutti oltre che all'interessato. La carta della “distrazione di massa”, spostare l'attenzione verso il referendum di ottobre, appariva un po' disperata (oltre che ad alto rischio) e tale si è confermata. La reazione è stata però peggiore di quello che ci si poteva aspettare. “Non sono soddisfatto”: ci poteva stare (anche se il tentativo di farla passare come una novità radicale, rispetto alla “non vittoria” di Bersani, è stato puerile). Ma il prosieguo è stato costellato di infortuni a ripetizione. “Abbiamo un migliaio di sindaci su 1300 comuni” è colossale. Dei 149 comuni oltre i 15.000 abitanti, sono andati al ballottaggio oltre l'80%; su 23 capoluoghi ce ne sono andati 18, 15 con il PD e 3 persi in partenza, in altri 2 ha perso al primo turno. Tirando le somme, il PD allo stato attuale ha 3 sindaci eletti e altri 15 al ballottaggio nei capoluoghi; con gli altri 126 comuni (praticamente i soli dove è presente con i suoi simboli) non arriva a 20 sindaci eletti (rapporto 1:50 con la cifra sparata). Se anche vincesse ¾ dei ballottaggi non raggiungerebbe i 100 sindaci. “Contento lui”. Quanto all'altra balla spaziale, “il PD è al 40%”, lo stesso vicesegretario ha dovuto correggerlo: 34% (contando anche le civiche). I numeri assoluti sono comunque impietosi: sui capoluoghi perde 210.000 voti rispetto al turno precedente. Il 22,5% dell'elettorato.

Partito della Nazione: DC 2.0 o UDC 2.0? - I numeri appena citati non disegnano un futuro radioso per il Partito della Nazione. Con l'avvento di Renzi il PD ha dapprima asfaltato (o per meglio dire, risucchiato) alle Europee tutto l'elettorato centrista, quello che all'apice, potendo vantare (si fa per dire) un Monti come Presidente del Consiglio uscente aveva raccolto poco più del 10% come Scelta civica e UDC. Da lì in poi ha però ricominciato a perdere pezzi a sinistra così come aveva fatto Bersani prima di lui. Ora che si ritrova più o meno a metà strada tra le percentuali (2013) di Italia Bene Comune (Bersani) e Coalizione di Centro (Monti) sorge un dilemma: il PdR (copyright Diamanti) va verso la ricostruzione di una DC 2.0 o sta tristemente evolvendo verso un UDC 2.0? Alla minoranza del PD, più che l'ardua risposta, spetta gran parte della soluzione del dilemma. A chi ha poca memoria storica si può ricordare che la DC aveva nel suo seno una minoranza di sinistra non meno radicata e, messa a confronto con gli eredi (!), senza dubbio più solidamente orientata. Allora la ragione storica (o l'alibi) per restare nel partito era la cortina di ferro, la divisione in blocchi, la guerra fredda. Nel 2016?

Salvini vincitore: dell'Oscar di bronzo – Qualcuno che canta vittoria avendo preso solo sberle c'è ancora e si chiama Salvini. Lasciando perdere qualche comunello e qualche ballottaggio con poche speranze, i numeri della Lega sono risibili, il sorpasso su Forza Italia non c'è, dalla piazza romana su cui aveva scommesso tutto (alleandosi con il fondo del barile) ritorna con ingenti perdite e al sud (noi con Salvini, leader nazionale in pectore) raccoglie consensi da lista di disturbo. In pectore gli rimane poco fiato per gonfiarlo, vorrebbe lanciare ancora qualche ruggito ma esce poco più di un belato. Da Oscar (della risata), versione fusa in bronzo, sola faccia.

Che fine ha fatto la sinistra? - Le previsioni sono state rispettate, potrei dire. Per prenderla da lontano: la sinistra tradizionale, quella novecentesca, quella che alla fine del “secolo breve”, alla caduta del Muro, ha smarrito le chiavi di lettura della realtà storica in cui viviamo, è in crisi verticale. È sottomessa al dominio culturale, prima ancora che politico, della destra liberista, espressione dei poteri economico-finanziari. Regge solo dove ha retto un qualche modello di welfare pubblico e la concertazione. Ma se nel resto del mondo si assiste a fermenti nuovi a sinistra, ricchi di potenzialità e protagonisti di uno scontro fin qui impari con i poteri dominanti, nel nostro paese il modello socialdemocratico è collassato prima ancora di affermarsi e quei fermenti, che pure esistono, sono deboli, frammentati, isolati, privi di una cultura di riferimento solida e minimamente condivisa. Per questo nessuno dei candidati di sinistra era accreditato di un risultato vicino al 10% e non ci si potevano aspettare grandi sorprese.
La realtà è stata in genere al di sotto del limite inferiore delle forchette dei sondaggi.
Dappertutto o quasi. Eppure...

Impariamo dagli errori. Ma anche dai successi - ...eppure in due dei 23 comuni capoluogo va al ballottaggio una lista civica che si colloca nel solco dell'esperienza arancione. Potrei riferirmi anche a Cagliari, dove Zedda vince al primo turno provenendo direttamente dalla stagione arancione, ma stavolta l'essere espressione di una coalizione con il PD fa una differenza, che merita un esame a parte (che presuppone un'istruttoria, piuttosto che un processo sommario, ma configura comunque un caso a parte). Mi riferisco invece a Napoli, dove De Magistris ha vinto contro il PD oltre che contro Lettieri (espressione come cinque anni fa della destra che ha governato la seconda repubblica) con cui si misurerà al ballottaggio. E a Latina, dove una lista civica, che non definisco di sinistra per rispetto dell'impostazione che la coalizione ha voluto darsi, ha però raccolto nel suo seno persone chiaramente impegnate nella impresa di cui stiamo parlando, espressioni genuine – e sane, vitali – dei fermenti di cui andiamo alla ricerca.

Meritano il massimo rispetto, incrociando le dita fino al ballottaggio e senza provare a metterci il cappello. E meritano però anche grande attenzione. Perché possono insegnare qualcosa, che dovremmo sforzarci di imparare. E, concludendo per ora la panoramica, di un insegnamento voglio dare atto sin da ora a Luigi De Magistris. Parla di partecipazione, di cittadini protagonisti, di governo dal basso, e si sforza di praticare quello che dice. Si dà come obiettivo di far diventare Napoli un caso nazionale. Ben detto: Napoli, non De Magistris.
Mercoledì, 15. Giugno 2016
 

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