La flessibilità inflessibile

Come l’imbroglio del cosiddetto Piano Juncker, così anche i margini di manovra sui bilanci di cui si è parlato nella recente riunione della Commissione Ue sono illusori. L’eurozona persiste nella sua politica distruttiva e solo se in Gracia e poi in Spagna vinceranno le nuove sinistre ci sarà qualche possibilità di cambiare

La politica dell’eurozona ci ha abituato all’attesa di eventi più o meno risolutivi. Ma quando l’evento si verifica, è difficile trovare un giudizio chiaro. Nel caso delle recenti decisioni della Commissione europea sulla cosiddetta flessibilità all’interno del Patto di stabilità, I commentatori più accreditai hanno scritto che il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto. In effetti, il bicchiere è vuoto. Sotto la veste delle cifre declinate con tanti decimali (uno zero virgola dopo l’altro) nulla.

Per alcuni mesi avevamo atteso il famoso piano Junker. Quando si è manifestato, abbiamo scoperto che oscillava tra un inganno e una presa in giro. La Commissione e la Banca europea degli investimenti avrebbero messo insieme circa 15 miliardi. Poi questi sarebbero stati moltiplicati per ventuno mediante investimenti di provenienza ignota, e avremmo avuto a disposizione per investimenti 315 miliardi di euro. L’entusiasmo per un’evangelica moltiplicazione del pane e dei pesci si è rapidamente sgonfiato, ed è cominciata l’attesa per le misure di flessibilità dei bilanci ad opera dalla Commissione europea.

Di che si tratta? Andando al merito, la Commissione europea dice che le risorse impiegate per il cofinanziamento di progetti europei dei fondi strutturali possono essere considerati ininfluenti ai fine del calcolo della riduzione programmata del disavanzo. In altri termini, la messa in atto del cofinanziamento, attualmente previsto sulla base dei fondi strutturali, consentirebbe all’Italia uno scostamento dal programma di riduzione del disavanzo pari allo 0,2 per cento del Pil. Attenzione, a condizione di rimanere all'interno della fatidica soglia del tre per cento.  Se il cofinanziamento portasse allo sforamento del tetto oltre il 3,02, la “tolleranza” sarebbe annullata.

La seconda misura di flessibilità consiste nella possibilità che, in circostanze di grave squilibrio fra crescita potenziale e crescita effettiva (per esempio, la recessione che da tre anni colpisce l’Italia), la Commissione europea, a sua discrezione, potrebbe concedere che il disavanzo sia ridotto dello 0,25 per cento del Pil, invece che dello 0,5 per cento attualmente previsto dalle regole cervellotiche dell’eurozona. Se trovate che tutto questo intreccio di decimali è un gioco privo di senso, avete perfettamente ragione.

Infatti, non si può porre l’obiettivo di una discesa del disavanzo verso il pareggio strutturale del bilancio, in un clima di stagnazione e di disoccupazione crescente. Non solo perché l’ha spiegato Keynes nel pieno della Grande Depressione degli anni Trenta, ma perché è contrario al buon senso.

Siccome, come nel teatro di Beckett, nessuno rinuncia all’attesa di Godot, così ora l’attesa si sposta sulle misure che, si suppone, saranno assunte dalla Bce. Bisogna dire con grande chiarezza che Mario Draghi ha salvato l’euro, tarpando gli artigli dei mercati finanziari, quando decise di “fare tutto il necessario” per impedire il default dei paesi che rischiavano di fallire nell’impossibilità di servire il debito ai tassi d’interesse imposti dalla speculazione finanziaria internazionale.

Il problema è nei limiti della politica monetaria. Una volta compressi i tassi di’interesse intorno allo zero, e messa a disposizione del sistema creditizio una quantità di risorse che supera la domanda da parte delle banche, alla politica monetaria rimane un’ultima manovra possibile: l’acquisto diretto dei titoli emessi dagli Stati membri. L’emissione dei titoli per il rinnovo del debito in scadenza e per il pagamento degli interessi maturati avviene già oggi, in virtù della politica della Bce, a tassi molto bassi.

Il vero cambiamento consisterebbe nella possibilità di acquisire risorse aggiuntive per il lancio di una grande manovra d'investimenti pubblici, in grado di invertire la tendenza disastrosa alla caduta degli investimenti. Un consistente aumento di  investimenti pubblici significa attivare più investimenti privati, ridare spazio all'occupazione, accrescere il monte salari e la domanda. In altri termini un circolo virtuoso che rimette in movimento la macchina dell’economia reale. Tutto bene, ma c’è un problema: la spesa per investimenti pubblici accresce il disavanzo, e la Commissione di Bruxelles (spalleggiata da Berlino) ne vieta l’aumento, incurante del fatto che si tratta di disavanzi destinata a investimenti, all’aumento del Pil e, in ultima analisi, alla riduzione del rapporto debito/Pil.

Negli Stati Uniti, la politica della Federal reserve è stata utilizzata per rilanciare l’econmia reale e l’occupaizone. E un risultato analogo è stato ragiuntoin nell’Unione euriopea da  Inghilterra e in Polonia. Ma le regole dell’eurozona lo impediscono. Dio acceca chi vuole perdere.

Dire la verità, ammettere che la politica dell’eurozona è fallita è ormai la base di qualsiasi discorso diretto a modificare la situazione. Ma il ministro dell’Economia Padoan si dichiara soddisfatto delle misure adottate dalla Commissione europea, e Renzi esalta i “passi avanti” (?) compiuti durante l’evanescente semestre italiano di presidenza dell’Unione.

Non sappiamo l’effetto che potrebbe avere un’auspicabile vittoria di Alexis Tsipras in Grecia. Certamente, lo scontro con la Commissione europea (e più ancora col ministro dell’Economia tedesco, Schäuble) si annuncia come un confronto, in partenza, impari. Ma il fatto che il confronto si apra, che la rinegoziazione delle condizioni del Patto di stabilità diventi un aperto terreno di confronto tra un paese membro e le autorità dell’eurozona, rappresenta di per sé la rottura di un tabù. La tappa successiva potrebbe essere l’apertura del confronto con la Spagna post-Rajoy, se si realizzeranno, nelle elezioni del 2015, le previsioni della sconfitta del governo e un’alleanza fra “Podemos”, in continua ascesa, e Partito socialista. Ma qui entriamo nel campo delle possibilità e dell’incertezza. Mentre l’unica cosa certa e sconcertante è la subalterna acquiescenza, quando non complicità, del governo italiano con le politiche auto-distruttrici che governano l’eurozona.

Venerdì, 16. Gennaio 2015
 

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