La palla di neve e la leva di Archimede

Il presidente della Commissione Ue Juncker, per spiegare come 21 miliardi possano diventare più di 300, ha parlato di un “effetto palla di neve”. Lasciando da parte le sue fantasiose immagini si può provare ad analizzare quale effetto-leva potrebbero avere le misure della Legge di stabilità

Il  presidente Juncker, dopo aver esclamato Eureka, in francese o in tedesco, ha affermato che con una leva finanziaria sufficientemente grande che trasformi 21 miliardi di euro in 315, potrà sollevare l'Europa. Con squisita eleganza linguistica l'ha definito "effetto boule de neige" (ossia “palla di neve”). Questo tipo di approccio può servire anche per valutare gli effetti di propagazione di interventi come quelli della nostra Legge di stabilità. Conseguentemente il giudizio puramente quantitativo sulla  limitatezza della manovra, accennato in un precedente articolo, andrebbe corretto a seconda dell'effetto leva e del segno dei moltiplicatori della spesa e delle riduzioni dei costi.

    

In primo luogo occorre distinguere gli effetti indotti di una manovra finanziariamente commensurabile dai cosiddetti catalizzatori. Ad analogia con la chimica il catalizzatore è un intervento a costo zero o trascurabile che produce effetti molto rilevanti. Rientrano in questa categoria gli interventi di tipo normativo e le innovazioni tecnologiche e organizzative chiamate "strategiche". Citiamo come esempio alcuni  aspetti potenziali del Jobs Act, la riedizione della legge Sabatini a favore dell'acquisto di macchinari ad alta tecnologia, le spese e gli sgravi fiscali sulla ricerca di base e applicata. Se il bersaglio è centrato si verificano multipli anche più ampi di quelli un po' fantasiosi di Juncker.

 

Sono state formulate ipotesi diverse sugli effetti della manovra italiana sul Pil. In linea con Haavelmo, Paladini adombra un effetto nullo. Altri studiosi paventano addirittura effetti negativi; Moscovici teme lo sforamento dei parametri comunitari; le proiezioni governative indicano grandezze dell'ordine di 0,5% o 1% del Pil.

 

Nella letteratura keynesiana e postkeynesiana degli Anni 50 e Sessanta sono fiorite analisi dei moltiplicatori, rese più complesse dall'introduzione del cosiddetto acceleratore (spinta propulsiva addizionale provocata dall'ampliamento delle strutture produttive). Venendo al caso nostro, occorrerà prendere in esame i seguenti  punti: A) l'arco temporale di riferimento; B) le modalità di copertura delle spese; C) la sincronizzazione dei flussi; D) la qualità della spesa pubblica e le sinergie intersettoriali.                            

    

A) L'arco temporale è stato fissato in un triennio che coincide con la chiusura normale della legislatura. Criterio artificiale: alcuni interventi generano effetti in tempi più brevi, mentre altri hanno una produttività molto più differita. Si pensi alle infrastrutture anche immateriali, come la riforma della PA, la sburocratizzazione, la revisione del Codice di procedura civile, la riforma della scuola, etc. Il moltiplicatore risulterà quindi frutto della media ponderata di moltiplicatori settoriali; essendo limitato nel tempo, si può definire con il termine un po' criptico di "moltiplicatore dinamico tronco".

    

B) Quanto alle modalità di copertura delle spese o degli sgravi (si vanta una riduzione di tasse di 18 miliardi, ignorando una serie di "ritocchi" sparsi nelle pieghe del bilancio) possiamo definire la manovra un ircocervo, che rispecchia le due anime della coalizione. Per metà è di tipo keynesiano, perchè finanziata in deficit; per l'altra metà di tipo neoclassico, perchè coperta con i proventi, veri o presunti, della spending review. Il deficit spending può avere effetti negativi sul tasso di inflazione e su quello di interesse. Non direttamente sul cambio comunitario, tenendo conto del peso relativo dell'economia italiana in Europa. Ma, con tassi bassi e pericoli di deflazione, questi effetti sarebbero addirittura ben venuti. La copertura con tagli di spesa produce, come rileva Padoan, un  moltiplicatore negativo che agisce comprimendo l'occupazione, la domanda globale e certi tipi di investimenti. Ecco perchè sorprende la battuta della Furlan (Cisl) che vorrebbe finanziare gli aumenti degli stipendi statali elininando gli sprechi della PA, con il rischio di produrre tagli occupazionali.

    

C) Sarà dunque fondamentale la dimensione relativa dei due moltiplicatori, positivo e negativo. Ma occorrerà soprattutto esaminare la maggiore o minore sincronizzazione dei flussi. I due moltiplicatori, infatti, producono effetti molto diversi a seconda della priorità cronologica di uno dei due. Se quello positivo si manifesta per primo attenua gli effetti del secondo. Ad esempio, la domanda di lavoro si amplia favorendo la ricollocazione del personale colpito dalla spending review. Se, invece, arrivano prima gli effetti dell'austerità, i benefici risultano ridotti o, al limite, azzerati. E' questa la storia dell'avvitamento economico dell'Europa. Paradossalmente, un ritardo della spending review favorirebbe l'efficacia della manovra.

 

D) Un fattore importante è quello della qualità della spesa, degli sgravi e dei tagli. Sono decisivi i rapporti intersettoriali delle aree colpite o favorite. Ad esempio sono noti gli effetti di trascinamento di alcuni settori: ricerca di base, tecnologie di punta, energia, rinnovabili e edilizia. Questo tipo di analisi è favorito dall'impiego dei modelli input-output.

 

Venendo a qualche previsione quantitativa e tenendo conto delle "perdite" per acquisti all'estero o per risparmi oziosi, potremmo calcolare il moltiplicatore netto intorno al 3% e cioè all1% del Pil annuale, superando le previsioni Ocse e Fmi. Ci chiediamo in che misura la Legge di stabilità si connette con il Piano Juncker. Questo progetto assomiglia ad un racconto del Barone di Munchausen, ma probabilmente potrebbe ottenere il risultato non dichiarato di aggirare il muro della Merkel, se venisse accettata l'esclusione dai vincoli di Maastricht dei contributi degli Stati al programma. Costituirebbe un altro esempio di eterogenesi dei fini.

 

Alcune considerazioni finali. Contrariamente a quanto sembrano ritenere gli econometristi, l'economia presenta analogie comportamentali non con la meccanica razionale, ma piuttosto con la psicologia di massa. Le profezie che si autoavverano, il mood della pubblica opinione, gli animal spirits keynesiani appartengono a questo regno dell'incertezza. Il boom degli anni 50 fu innestato da due generazioni: quella dei padri, che volevano risalire dal fondo atroce della guerra e quella dei figli ai quali si offriva la speranza di un mondo migliore. Se gli italiani lo vorranno, il destino potrebbe riservare loro qualche favorevole sorpresa, quando il flusso di innovazioni senza precedenti che sgorga da una schiera di nostri giovani inventori giungerà a maturazione. Altrimenti, come è accaduto altre volte nella storia, esso troverà sbocco in Paesi più dinamici.

    

Per il momento, come rileva il Censis, vari sintomi indicano una vera e propria fuga dal rischio. Le categorie che avevano lamentato la limitatezza dei propri consumi hanno riversato in banca il migliaio di euro annuali ottenuti; le banche si sono finanziate a tasso zero dalla Bce per investire in titoli a basso rendimento; i grandi gruppi finanziari privilegiano le innovazioni di inseguimento anzichè rischiare su quelle pionieristiche. Anche i sindacati non brillano per iniziative decisive. Sembrano riecheggiare i canti delle mondine, mentre rifiutano di discutere la cogestione ed hanno apparentemente abbandonato la battaglia per la riduzione degli orari di lavoro con radicale riordino delle turnazioni, unica difesa contro la disoccupazione tecnologica.

    

Solo il superamento di questa atarassia individuale e collettiva potrebbe aprire la strada ad un nuovo miracolo italiano.

Venerdì, 12. Dicembre 2014
 

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