Un liberista contro il taglio dei salari

I duri colpi della crisi che non passa cominciano finalmente a fare breccia nel fronte degli economisti neoliberisti. Dopo Francesco Giavazzi e Guido Tabellini che invocano più spesa pubblica, Luigi Zingales scrive che ridurre le retribuzioni non solo non è utile, ma dannoso. Il loro quadro di riferimento resta però ispirato a teorie smentite dai fatti

I duri colpi della crisi che non passa cominciano finalmente a fare breccia nel fronte degli economisti neoliberisti. Dopo Francesco Giavazzi e Guido Tabellini, adesso è Luigi Zingales, nella sua rubrica su L’Espresso, a prendere una posizione in contrasto con l’ortoddossia della teoria tuttora dominante.

Cosa dice Zingales? Che ridurre i salari non conviene. “Io non penso che sia quello che Draghi ha in mente. Proprio a Jackson Hole, il governatore della Banca Centrale giapponese ha auspicato l’esatto opposto. Lamentando l’eccesso di flessibilità al ribasso dei salari giapponesi, ha chiesto una mano visibile che aiuti ad aumentare i salari. Senza un aumento dei salari, la domanda interna non può crescere, le imprese di conseguenza non sentono il bisogno di investire, e il paese stenta ad uscire dalla deflazione”. Anche Zingales, come i due economisti citati, ha maturato la convinzione che il problema cruciale è la domanda interna, quella che la politica imposta all’Europa dalla Germania e dai suoi alleati continua a deprimere, e senza rilanciare quella non ci sarà ripresa.

Una volta mi capitò di definire Zingales un “liberista anomalo”, cosa che egli disse di apprezzare. L’”anomalia”, a mio parere, è nel fatto che, a differenza di quasi tutti gli economisti di quell’orientamento, Zingales non si rifiuta di trarre le conseguenze – anche teoriche – da quello che vede accadere nella realtà. In altre parole, l’economista prevale sull’ideologo, come dovrebbe accadere a tutte le persone immuni da fanatismo: invece purtroppo è merce rara. Comunque sempre liberista rimane, e per questo la sua presa di posizione, che fa a pugni con gli assiomi della teoria neoclassica, è importante.

Un altro punto da rilevare è che l’economista critica sì il sindacato, “che, nato per proteggere dagli abusi, si è spesso trasformato nel peggior nemico di ogni cambiamento”, ma anche le imprese, incapaci di gestire le risorse umane: “Raffronti internazionali evidenziano la nostra arretratezza in questo campo”. Il rimedio, a suo parere, è varare un sussidio di disoccupazione che protegga in caso di perdita del lavoro, cosa che indebolirebbe il sindacato costringendolo a cambiare, e una modifica legislativa che incentivi le imprese che gestiscono meglio le risorse umane ma permetta anche di licenziare chi, per tre anni, abbia dato prova di scarsa produttività.

La soluzione è discutibile, sia perché valutare chi gestisca bene le risorse umane appare assai problematico, sia perché con un sindacato debole ci si affiderebbe solo alla lungimiranza dei datori di lavoro, che, come lo stesso Zingales riconosce, finora (tranne eccezioni) non ne hanno dato prova. Ma accontentiamoci della prima parte del suo articolo, quella che riconosce che tagliare i salari è una medicina sbagliata che fa peggiorare il male.
 
(Questo articolo è stato pubblicato anche su Repubblica.it)

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Giovedì, 11. Settembre 2014
 

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