I limiti di Napolitano e di Renzi

Il presidente ha cercato di salvare il salvabile a fronte di partiti politici divisi, confusi e incapaci di decidere, ma ciò che ha ottenuto è l’immobilismo. Il segretario Pd non ha concordato un preciso programma di governo, dando vita ad una soluzione debole e aperta alle incognite

Il secondo accordo sulla legge elettorale che limita la validità della riforma alla Camera è una evidente spia della sottovalutazione da parte di Renzi della situazione politica. L’aver costituito il governo senza un articolato accordo sulle cose da fare sia in campo politico che economico lo espone ad una continua trattativa con Ncd e con i gruppi parlamentari del Pd. Con l’approvazione della legge elettorale per la Camera si priva poi dell’arma di pressione del possibile scioglimento delle Camere, almeno fino all’eliminazione del Senato.

 

Fatto il governo era probabilmente l’unica cosa da fare, l’errore è stato fare il governo o farlo senza un concreto accordo. Che il governo Letta fosse esaurito lo certifica il documento della Commissione Europea che denuncia gli  “squilibri eccessivi”: l’ultima legge di stabilità non pone l’Italia sulla strada della crescita e della riduzione del debito e Letta non è riuscito ad iniziare un percorso di riforme politiche e sociali. Letta poi non ha mai avuto la forza di dire chiaramente che l'accettazione dei vincoli europei di bilancio, unitamente ai limiti imposti dal tipo di alleanza di governo, impediva interventi significativi per ridurre la pressione fiscale.

 

In questi ultimi anni Napolitano ha pensato di dover reggere la barra di una barca in balia della tempesta assicurando un governo al paese, invocando un accordo almeno per alcune riforme politiche e opponendosi a ogni ipotesi di elezioni anticipate. E’ difficile dargli torto se si analizzano i comportamenti delle diverse forze politiche. Dopo l’adesione con Prodi alla moneta unica il paese è stato sostanzialmente fermo, incapace di quelle riforme che l'adesione alla moneta unica comportava, che tutti a parole ritengono indispensabili, ma che vede tutti divisi su quali fare e su come farle. Il risultato è che il passare degli anni ha reso il costo delle stesse più pesante.

 

Il centrosinistra ha avuto maggioranze molto ridotte e comunque è stato sempre diviso al suo interno. Lo stesso Pd ha sempre parlato a più voci non trovando mai una sintesi. Berlusconi ha avuto maggioranze più consistenti, ma, anche prescindendo dagli obiettivi prioritari del presidente del Consiglio in difesa dei suoi interessi e della sua vocazione populista, sono state maggioranze non coese e piene di rappresentanti di interessi corporativi non certo favorevoli a quelle riforme di stampo liberista inizialmente indicate. Il paese non ha intrapreso alcuna direzione di riforma né in senso progressista né in senso liberista; è rimasto fermo.

 

Su questo immobilismo è piombata l’ultima crisi aggravata dalle scelte politiche europee. Anche su queste tutti i maggiori partiti politici hanno evidenziato la loro confusione e impotenza. Critici verso le politiche europee, ma pronti a votare il fiscal compact e la modifica costituzionale della legge di bilancio. Che Berlusconi dica tutto e il contrario di tutto ci siamo abituati, ma che il Pd, e in particolare la sua “sinistra”, approvi questi provvedimenti e poi chieda una modifica delle regole Ue è tutto da spiegare. Così come è da spiegare il rifiuto della candidatura di Marini alla presidenza della Repubblica in quanto concordata con Berlusconi e foriera di un governo di larghe intese e il successivo appello a Napolitano, notorio sostenitore delle larghe intese, perché accetti una riconferma.

 

Se si parte da questi fatti le decisioni di Napolitano si spiegano, salvare il salvabile a fronte di partiti politici divisi, confusi e incapaci di decidere. E tuttavia se nell’autunno del 2011 a fronte del precipitare della crisi era comprensibile l’opposizione alle elezioni anticipate, il perdurare di questa posizione non ha portato alle riforme, nemmeno a quella elettorale, ma alla paralisi e al galleggiamento. Ma lo stare fermi in un mare in tempesta è pericoloso e, comunque, la situazione economica e sociale del paese non lo consente.

 

Renzi promette di uscire dall’immobilismo ed è forse questo il motivo che spiega l’assenso di Napolitano alla giubilazione del “suo” governo. Un estremo tentativo, fatto dopo l’accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale, assicurandosi, e assicurando, comunque con Padoan un controllo su possibili, ma improbabili, tentativi di uscire dalle regole europee. Ma Renzi, come si è visto, non ha trovato un accordo reale nemmeno sulla legge elettorale e ha dovuto farne uno nuovo; difficile pensare che lo abbia trovato in concreto su altri punti, se non in forma generica.

 

I tre mesi usati dalla Merkel e dai socialdemocratici tedeschi per il loro accordo sono certamente troppi per la realtà italiana, ma i pochi giorni impiegati da Renzi, come prima da Letta, sono indicativi dell’assenza di un accordo di programma. Il tutto pare affidato all'energia del nuovo presidente del Consiglio in un gioco di difficile equilibrio tra la necessità di fare e la necessità di raccogliere consenso sui provvedimenti, tra le resistenze di apparati e corporazioni e, già si vede, la voglia di rivincita dei "rottamati". Serpeggia un intenso desiderio di fallimento di Renzi, anche perché un suo eventuale successo costituirebbe la conferma del fallimento e dell'incapacità di tutta una generazione politica, con i suoi annessi culturali e giornalistici. 

 

Era certamente necessario un cambio di passo, ma la soluzione scelta appare debole e poco promettente. Credo sarebbe stato meglio andare alle urne anche con la legge elettorale uscita dalla Corte Costituzionale o, semmai, fare un tentativo di governo di scopo. Tutti i partiti a quel punto sarebbero con le spalle al muro e senza più alibi per un accordo probabilmente necessario data la divisione in tre blocchi dell’elettorato. Ma questa via, a prescindere dalla volontà/ambizione di Renzi, non avrebbe trovato il facile consenso del Quirinale. 

Giovedì, 13. Marzo 2014
 

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