L’ultima spiaggia è sempre la penultima

”Se Renzi fallisce non c'è che il tracollo”, dicono in molti: come avevano detto ai tempi di Berlusconi, di Monti, di Letta. Ma è un mantra che serve a non affrontare una vera analisi della crisi e del modo per uscirne, finora improntato a una continuità che ha dato pessimi esisti. Renzi deve decidere da che parte giocare la partita: con chi e contro chi

La partenza del governo Renzi è accompagnata da un singolare corto circuito logico che ha preso piede ed è sempre più diffuso tra i commentatori. Consiste in questo: si parte, più o meno tutti, dall'evidenziare i motivi per cui l'impresa di Renzi ha molte probabilità di finire male. Dopo di che, dichiando di riconoscere alla persona qualità di leader, comunicativo, veloce, determinato, che non si ritrovano negli altri politici in circolazione, si arriva alla conclusione, quasi fosse una conseguenza obbligata date le premesse, che questo governo è l'ultima spiaggia. Se Renzi fallisce non c'è che il tracollo, il Zusammenbruch. Dobbiamo sperare che ce la faccia, dobbiamo tutti dargli una mano.

 

Darei per scontato che non ci si possa, ragionevolmente, augurare che fallisca e che il Paese vada in rovina più di quanto non stia già avvenendo. Comprensibile quindi l'idea di dare una mano, chi può, ma è anche ovvio che non si spinge nella stessa direzione e affannarsi tutti, pur appassionatamente, a dare una mano potrebbe essere fin dannoso.

Ma il vizio fondamentale che mi sembra di riscontrare in questi ragionamenti riguarda la conclusione, l'idea di ultima spiaggia, il salto logico per cui alla lunga lista di motivi che rendono il tentativo di Renzi un'avventura, una sfida alle leggi della politica, si contrappone un'istanza fideistica poggiata solo sulle qualità della persona. Eroe titanico, ce la deve fare, immancabilmente. Non c'è alternativa se non il disastro. Stringiamoci tutti intorno a lui.

 

Non c'è alternativa. E' il mantra che sentiamo ripetere dal 2011, da quando è entrato in crisi (irreversibile) di consensi il governo Berlusconi 3. Non c'era alternativa, nel senso di un'altra maggioranza in Parlamento, dopo l'uscita di FLI ed era perciò necessario rinviare il voto di fiducia. Non c'era alternativa a un governo tecnico di larghe intese dopo che la troika europea aveva commissariato il governo togliendogli, oltre alla credibilità, la maggioranza parlamentare: impossibile andare a votare. Non c'era alternativa a un governo di necessità, politico ma nuovamente di larghe intese, dopo il risultato tripolare delle elezioni e la rinuncia del Parlamento ad assumersi la responsabilità di eleggere un nuovo presidente della Repubblica: tutti intorno a Letta. Non c'è, infine, alternativa, ora, a un governo con le stesse caratteristiche, affidato a un leader appena più giovane, ma volitivo, comunicativo: tutti intorno a Renzi.

 

Quella che manca, ancora una volta, è una lettura - prima ancora che condivisa, convincente - delle ragioni della crisi della nostra società e del sistema politico che ne è espressione. Le strade obbligate, la guida col pilota automatico, servono a inibire quella lettura che renderebbe evidenti i danni che sono stati e sono tuttora provocati dall'ideologia prevalente (di questo si tratta più che di una dottrina) racchiusa in quel pensiero unico, privo di alternative. Il tema non è quindi se il leader è più o meno capace, quel tema è solo un paravento che impedisce visioni alternative. Non si tratta di aiutarlo a farcela nonostante gli innumerevoli motivi per cui è destinato a fallire ma di andare più a fondo in quei motivi per imboccare un'altra strada.

 

Esaminiamoli: la maggioranza non ha una visione comune; il personale è in prevalente continuità (bene che sia bilanciato quanto al genere e mediamente più giovane, ma quanto a competenze e a orientamenti politici non c'è stato alcun passo avanti ma semmai qualche vistoso arretramento); le componenti strutturali del ritardo del sistema produttivo italiano rispetto ai partner di riferimento restano immutate e la previsione di un aumento del pil di mezzo punto o poco più (nella migliore delle ipotesi) nel 2014 non rappresenta un miglioramento significativo dello scenario. I vincoli esterni imposti dalla politica europea del risanamento attraverso l'austerità come unica ricetta non sono rimossi Se l'obiettivo deve essere quindi quello di mutare le condizioni e rimuovere i vincoli, a questo dovrebbe essere spinto. E se, per quanto determinato e apprezzato dall'elettorato, non ha chiaro in quale direzione occorre lavorare e, più ancora, a quali forze fare appello e dove trovare il sostegno necessario per realizzare un'alternativa che scongiuri il disastro, è su quello che si deve insistere, senza aspettare di vedere come va a finire, per accorgersi (“a babbo morto”) che chi nutriva illusioni aveva torto e ha fatto danno al Paese. A maggior ragione – e qui la prospettiva si fa drammatica - se un nodo scorsoio gli si va stringendo attorno al collo, come dimostra in modo eloquente la vicenda della legge elettorale “dimezzata”, con cui gli è stata definitivamente tolta di mano l'unica arma di pressione su cui poteva contare in ultima istanza, il ricorso alle urne.

 

Detto in altri termini, chi apprezza le qualità personali di Matteo Renzi come leader politico dovrebbe avere a cuore che non si bruci in un fallimento annunciato. E chi ritiene che tra le sue qualità personali faccia difetto la coerenza tra il dire e il fare e il rigore nei comportamenti, per un eccessivo amore dell'effetto scenico, dovrebbe, anziché esaltarlo acriticamente, denunciarne con severità i limiti facendo affidamento sulla sua intelligenza, da un lato. Ma anche, dall'altro, incalzandolo da vicino e spronando il suo amor proprio, con una affermazione chiara e eloquente. Nessuno è insostituibile, la politica non contempla la mancanza di alternative, chi usa questo argomento è solo mosso dall'intento di difendere strenuamente lo status quo come il migliore dei mondi possibili. Invece gli stessi che si affollano intorno a Renzi dipingendolo come ultima spiaggia priva di alternativa sono anche quelli che smontano ogni possibile strategia alternativa per prospettare come unica strada percorribile quella già tracciata da Letta.

 

E' quello che più colpisce del “mercoledì da leoni”. Al netto del colpo di teatro sul finanziamento della riduzione IRAP attraverso l'aumento della tassazione sulle rendite (che questo stesso Parlamento aveva bocciato a Letta: cambierà idea?), la “rivoluzione” è sub judice e le poche decisioni immediatamente operative sono vere e proprie controrivoluzioni.

 

L'idea di mettere i mille euro in busta paga prima delle elezioni è stata “respinta con perdite”. Rinviata di un mese, dice Renzi, ma è una bugia pietosa che gli hanno permesso di raccontare per non dover ammettere che i passaggi ancora da compiere (redazione del DEF - il Documento di economia e finanza - e verifica con Bruxelles, formale, e con la Merkel, sostanziale) sono ad altissimo rischio. Perché le coperture una tantum non possono coprire spese strutturali. Perché il calo dello spread è contingente e aleatorio e comunque non può essere contato due volte (sia come tesoretto derivante dal minor deficit rispetto al 3% sia come minore spesa per il debito). Perché la spending review è sulla carta e l'accordo con la Svizzera di là da venire.

 

Si dovranno dunque costruire le condizioni politiche perché tutte queste incognite siano affrontate senza che possano pregiudicare i risultati attesi: in particolare, quello di una redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori, indispensabile e urgente sia per ragioni di equità sociale che per ragioni economiche. Condizioni politiche, non espedienti, dialettici o contabili che siano. Avrà Renzi questa capacità, saprà costruirle, posto che il compito è decisamente più arduo anche rispetto alla stessa costruzione di una maggioranza per le riforme istituzionali? Non si tratta di “asfaltare” Cuperlo o Fassina ma di farsi valere in Europa e in Germania.

 

Questa è l'incognita e questa è anche la sfida per chi punta a “cambiare verso”, a una “svoltabuona”. Invece per ora avanza la controrivoluzione. L'unico decreto varato contiene lo smantellamento del contenuto formativo dell'apprendistato. Contratto unico, investimento sulla formazione, politiche attive contro la disoccupazione rilancio dei settori chiave per lo sviluppo (sostenibile). Erano chiacchiere tra “cultori della materia”, non resta nulla, il Jobs Act parlerà di altro e intanto presenta il biglietto da visita.

 

Si dimostra dunque, ancora una volta, che la partita è in corso, è aperta, e Renzi deve decidere da che parte giocarla: con chi e contro chi.

Giovedì, 13. Marzo 2014
 

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