Spending review? Meglio services review

La Legge di Stabilità non è proprio da buttar via, anche se i suoi limiti sono vistosi. La parte più interessante è quella dei possibili risparmi, ma anche tagliare gli sprechi può avere effetti recessivi. Sarebbe meglio invece aumentare e migliorare i servizi agli stessi costi: si libererebbero risorse nel settore privato

Dopo una serie di marce e contromarce, come le esercitazioni in ordine chiuso in Piazza d'Armi degli eserciti settecenteschi, il governo ha delineato i contorni della Legge di Stabilità (termine suggestivo, ma apparentemente in contrasto con la dichiarata finalità di sviluppo equilibrato). La navigazione dell'esecutivo sembra quella del magico vascello dell'Olandese Volante a vele spiegate nell'uragano (la magia consiste proprio nelle vele "spiegate" e non "ammainate" nella tempesta). Secondo una famosa battuta, comune nel mondo anglosassone, il suo percorso assomiglia a quello del volo del calabrone, che secondo  ogni evidenza apparente, in quanto tozzo, pesante e con le ali corte non dovrebbe volare, eppure lo fa.... Riprendendo una frase di Craxi, comunque la nave va, accompagnata dalle musiche di Wagner e di Rimski Korsakov.

 

Gli elementi portanti della manovra sono riconducibili a quattro: a) riduzione della tassazione su lavoro ed impresa; b) rifinanziamento di investimenti pubblici e allentamento del patto di stabilità; c) riduzione del debito pubblico tramite privatizzazioni, rivalutazione delle quote azionarie della Banca d'Italia e recupero degli introiti fiscali da capitali italiani emigrati in Svizzera (non si fa cenno ad altri paradisi fiscali, come San Marino); d) la cosiddetta spending review, che, dopo un rapido avvicendarsi come gli orsetti di un tirassegno di Giavazzi, Giarda e Bondi vede il maestoso apparire di un alto (anche fisicamente) dirigente del Fondo monetario internazionale. Tanto nomini nullum par elogium.

 

A - La riduzione del cosiddetto cuneo fiscale (termine improprio perché somma di partite eterogenee, come contributi previdenziali e assicurativi, salario differito, prelievi fiscali imputati all'azienda o trattenute per conto dei lavoratori e versate come sostituto d'imposta) risulta di importo di gran lunga inferiore al livello di un effetto shock. Ma tant'è: questo è il piatto che passa il convento. Il governo sembra muoversi, sotto il tiro degli ayatollah del rigore (definizione di Letta) lungo una linea di minimax: cerca il massimo dei minimi, vincolato dai folli impegni assunti a suo tempo dai goliardi Tremonti e Berlusconi. Sulla sua efficacia al di là del possibile impatto psicologico nutriamo fondati dubbi. E non siamo i soli.

 

B - Considerazioni in parte analoghe valgono per gli investimenti pubblici. Qui si muovono azioni più consistenti: la costituzione di un fondo di garanzia per le PMI e per i mutui alle famiglie, i provvedimenti a favore dei giovani, gli sgravi fiscali per lavoro e imprese e per le spese di ricerca, gli stimoli, ancora molto deboli, nei confronti degli investimenti esteri. Si tratta di un complesso articolato di interventi che, pur singolarmente di lieve entità, potrebbero dare buoni frutti se accompagnati da riduzione drastica di tempi e complessità delle procedure burocratiche.

    

Per quanto concerne la lotta alla disoccupazione ci chiediamo come essa si concili con le ingessature della riforma Fornero, con orari di lavoro del 20% superiori a quelli tedeschi, con gli sgravi fiscali a favore degli straordinari ed anche come si giustifichi razionalmente il mancato utilizzo di oltre 500.000 lavoratori, per lo più qualificati, pagati al 60% del salario (quelli in Cassa Integrazione).

 

C - I dubbi maggiori sono stati espressi per le privatizzazioni, destinate a ridurre, forse per il 5 per mille (!?) il debito pubblico. E' opinione comune che si tratti di una operazione di facciata, per reagire all'osservazione di Olli Rehn secondo cui il debito pubblico italiano è cresciuto in modo anomalo sia in cifre assolute che in percentuale. Risposta molto flebile, in verità. Anche se l'operazione fosse destinata ad iniettare capitali stranieri in imprese italiane ad alta efficienza, le perplessità rimarrebbero: l'uovo di oggi (12 miliardi) farebbe perdere la gallina di domani (i pingui dividendi). Nulla da eccepire sulla rivalutazione delle quote della Banca d'Italia e sul rientro dei capitali dall'estero, anche se le precedenti esperienze hanno dimostrato che i condoni, più o meno mascherati, non hanno dato buona prova.

 

D - Veniamo ora al pezzo forte della manovra: la spending review. Sgombriamo il campo da un equivoco concettuale. Si ritiene comunemente che eliminando gli sprechi e cioè le quote di spesa pubblica definite improduttive e riducendo corrispondentemente la tassazione si ottengano automaticamente effetti positivi per lo sviluppo. La realtà è più complessa. La spesa pubblica abbraccia tre grandi comparti: a) le infrastrutture, comprese le unità immobiliari; b) gli acquisti di beni e servizi; c) salari, stipendi, indennità, pensioni, assistenza sociale.

     a) Per quanto riguarda il primo punto è possibile realizzare risparmi con un uso più razionale delle unità immobiliari. Operazione complicata, che produce resistenze fortissime (vedi il caso dei tribunali), che richiede tempo e che, probabilmente, implica spese per la ristrutturazione degli stabili.

     b) Sugli acquisti di beni e servizi si è intervenuti da tempo tramite la Consip, con risultati discreti ma insufficienti. Insorgono peraltro alcune obiezioni. Vi sono casi in cui la riduzione delle spese implica l'utilizzo di mezzi fortemente usurati. La Polizia di Stato ha in molti casi auto che hanno fatto duecentomila chilometri con personale che, per il prolungato blocco del turnover, supera i cinquant'anni. I cittadini sarebbero molto preoccupati se le Volanti fossero sostituite da squadre di vegliardi in carrozzella.... Rimane un'ulteriore considerazione. Sia pure tramite corruzione e acquisti di beni e servizi a prezzi superiori a quelli più convenienti, la P.A. rappresenta una fonte di domanda e di occupazione per una miriade di imprese che verrebbero falcidiate da una rigida applicazione dei costi standard. Ciò vale per qualunque intensificazione della concorrenza. Conseguentemente la tesi difensiva non può essere condivisa, ma implica una gradualità di applicazione ed una sostanziale riduzione dei benefici netti. Ciò perché lo Stato, a diversità dei privati, finisce per farsi carico anche delle quote di inefficienza ridotte, per attenuarne i riflessi occupazionali. E' questo lo schermo dietro al quale si riparano gli imprenditori extra-marginali.

     c) Le spese per il personale rappresentano in certi settori le percentuali più elevate del totale. Il blocco del turnover le ha già incise in qualche caso oltre i livelli di sopportabilità, riducendo l'efficienza dei servizi resi alla collettività. Il rapporto dipendenti pubblici per abitante è sensibilmente più basso di quello degli altri grandi Paesi europei. Se dovesse peggiorare, considerando il settore pubblico nella sua globalità (dalla P.A. agli enti previdenziali) questa ulteriore riduzione dei dipendenti pubblici consisterebbe nel trasformare un dipendente pagato poco per fare poco in un pensionato pagato meno per non fare niente.

 

Ci sembra peraltro efficace l'approccio di Cottarelli, consistente nel sensibilizzare direttamente i singoli centri di spesa, spingendoli all'autodeterminazione dei parametri di efficienza (l'efficientamento, secondo il suo linguaggio angloburocratese). Questa procedura richiama la battuta, tratta dal florilegio dei mots d'esprit del mondo anglosassone, secondo la quale ciò significa indurre i tacchini a spiumarsi, riempirsi di castagne e marciare ordinatamente verso il forno in occasione del Thanksgiving Day.

Il bersaglio finale rimane comunque quello di ridurre in parallelo spese e tassazione; anche se, per la verità, il moltiplicatore negativo della riduzione della spesa è più alto di quello positivo degli sgravi fiscali.

 

Si potrebbe tuttavia, anche in occasione del passaggio alla Camera, ipotizzare un diverso bersaglio finale. In economia aziendale l'efficienza si accresce producendo lo stesso flusso di beni e servizi a costi minori, o un flusso maggiore con costi uguali. La prima soluzione può incontrare resistenze molto dure e rischiare di ridurre anziché accrescere la domanda globale nel bel mezzo di una crisi che proprio a questa diminuzione è in parte legata. La seconda alternativa, invece, genera maggiori servizi per le imprese e per i cittadini, abbassando i cosiddetti costi esterni (diseconomie) e liberando frazioni di reddito da destinare ad investimenti e/o consumi. E' noto, ad esempio, che un perfetto funzionamento del sistema sanitario o della mobilità accresce la domanda di beni e servizi nel settore privato, perché rende disponibili risorse altrimenti destinate alla soddisfazione di bisogni primari. Nella stessa direzione operano gli interventi atti a ridurre il peso soffocante delle procedure, comprese quelle giudiziarie.

    

Non sappiamo se e per quanto tempo il vascello fantasma continuerà a navigare nel mare procelloso della politica italiana. Quel che è certo è che alcuni degli indirizzi programmatici che stanno emergendo sembrano dover superare l'effimera esperienza di un governo Arlecchino, i cui colori - nonostante gli eventi recenti - anzichè sbiadire si accentuano in contrasti più di interessi contrapposti che di battaglie ideologiche.

Domenica, 1. Dicembre 2013
 

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