Il mistero del governo Letta

Difficile non cogliere una continuità con le politiche di Tremonti e poi di Monti, con l’aggiunta di una serie di rinvii che servono solo ad evitare di affrontare quei problemi che la politica ha evitato di risolvere negli ultimi dieci anni. Incomprensibili molte scelte del Pd e soprattutto della sua area di sinistra. Nella maggioranza non c’è accordo sul che fare. Ma allora a che serve?

Immaginatevi di camminare sul bordo di un fiume e di vedere un gruppo di persone che sta annegando. Credo che fareste di tutto, salvo che dire loro di pazientare per qualche mese in attesa di una migliore possibilità di salvarli. E’ l’immagine che mi è venuta in mente sentendo le dichiarazioni di Enrico Letta alla Camera sul fatto che l’uscita dalla procedura d’infrazione ci darà nel 2014 più flessibilità di bilancio. Immagino che i nostri disoccupati giovani, meno giovani e anziani siano felici di attendere il 2014 per verificare l’inizio e la portata di questa maggiore flessibilità.

 

E’ dal 1992, dal Trattato di Maastricht, che i paesi dell’Ue vedono la loro politica economica condizionata da trattati e regole definiti di volta in volta stupidi (vi ricordate Prodi?), inadeguati, controproducenti. L’ex presidente Monti ha recentemente affermato che lui non avrebbe mai firmato il Six compact e che solo per l’impegno preso da Berlusconi su questo ha firmato il Fiscal compact.

 

Non c’è economista che non ritenga un errore avere una moneta unica senza una politica economica e fiscale unica e senza una banca centrale di ultima istanza.

Siamo all’assurdo che una sentenza della Corte Costituzionale portoghese è criticata dalla Ue perché contro i tagli imposti sulla spesa pubblica, mentre le politiche monetarie della Bce, organismo europeo, sono al vaglio della Corte costituzionale tedesca senza che nessuno abbia nulla da eccepire.

 

Il 3% continua a essere un totem. Si può rinviare l’aumento dell’Iva finanziandolo con tasse che dovrebbero essere pagate nel 2014, buco che dovrà comunque essere coperto, ma non si può arrivare al 3,1%. Dove è la logica in questo?

 

S’incentivano le assunzioni, ma lo stesso Giovannini aveva affermato che poco possono fare le incentivazioni alle assunzioni in assenza di domanda. Si corre il rischio di agevolare assunzioni già in programma facendo fondamentalmente un regalo alle imprese.

 

Occorrerebbero politiche macro espansive simili. Una svalutazione della moneta, una politica monetaria e una politica fiscale espansiva. E’ chiaro che noi non possiamo farlo da soli, a differenza di quanto fatto da Usa e Giappone, perché queste politiche le abbiamo delegate alla Bce e abbiamo assunto i vincoli di bilancio europei. Toccherebbe alla Bce e all’Ue farle, ma non si vede all’orizzonte un drastico cambio di politiche, nemmeno dopo le elezioni tedesche di settembre, al massimo un aggiustamento di linea. Alla fine dell’anno il Pil sarà diminuito almeno dell’8% rispetto al 2007 e nella migliore delle ipotesi con le attuali politiche europee bisognerà aspettare almeno il 2020 per tornare ai livelli di Pil pre-crisi. Per l’occupazione l’attesa sarà ancora più lunga, sempre escludendo nuove crisi.

 

Questo è il quadro che ci aspetta, qualcuno ne discute?  Si continua a chiedere la riduzione del cuneo fiscale, ma nessuno affronta il problema di come finanziarlo all’interno degli attuali vincoli. La maggiore flessibilità nel 2014 non ci darà la possibilità di diminuire tasse e/o contributi, ma solo eventualmente di fare investimenti in grado di aumentare il potenziale di crescita. Come si finanzia la riduzione del cuneo? 

 

La Merkel e la Bundesbank costituiscono certamente un problema. La loro rigidità, le loro dichiarazioni, i loro veti hanno aggravato la crisi europea e impedito politiche diverse, ma addossare a loro tutte le colpe dei mali dei paesi del mediterraneo è travisare la realtà. Se in questi paesi l’evasione fiscale è enorme, se la corruzione è diffusa, se la burocrazia statale è inefficiente, se le imprese non investono in innovazioni, se la classe politica è di infima qualità, se la giustizia civile è allo sbando, non è certo colpa della Germania. L’entrata dell’euro nel 1997 comportava per l’Italia il venir meno dello strumento della svalutazione e l’accettazione di vincoli di bilancio. Questo richiedeva profonde riforme per reggere il passo con le altre economie. Nulla è stato fatto e le conseguenze si sentono.

 

Un esempio lo vediamo nel differenziale del tasso d’inflazione tra il nostro paese, la Francia e la Germania dal 1999, inizio dell’uso della moneta unica come riferimento, al 2012. In Germania i prezzi sono cresciuti del 25,5%, in Francia del 27,7%, in Italia del 38,3%. In presenza di una moneta unica questo comporta una svalutazione di fatto nei paesi con minore inflazione. In pratica la Germania ha svalutato del 2,5% rispetto alla Francia e del 10,2% rispetto all’Italia. La Francia, pur rivalutando del 2,5% rispetto alla Germania, ha svalutato del 7,5% sull’Italia. Ovviamente non si può accusare di questo i tedeschi e i francesi, la colpa è interamente nostra. L’entrata nell’euro, con il venir meno della possibilità di svalutare, doveva comportare un drastico intervento sulle cause del differenziale d’inflazione con Francia e Germania, dovuto soprattutto alla dinamica dei prezzi nel terziario, perché con l’accordo del 1992 la scala mobile era stata abolita. Questo comportava forti interventi sui servizi, sui trasporti, sulle reti, sulle professioni, settori nei quali c’erano e ci sono enormi sacche di rendite e di inefficienze. Poco o nulla è stato fatto e quel poco - lenzuolata di Bersani, interventi di Passera nel 2012 - in buona parte reso inefficace dalla lentezza delle procedure o dalla non attuazione concreta delle disposizioni di legge.

 

E’ chiaro che in questa situazione di perdita di competitività e di resistenze politiche diffuse, da parte dalla Ue e della Bce è venuta la richiesta di intervenire sul costo del lavoro. Prima con interventi sulla flessibilità nel mercato del lavoro e poi con quelli sulla contrattazione, ultime dichiarazioni di Draghi. D’altra parte depotenziare di fatto i contratti è più rapido che intervenire sulle altre ragioni dei differenziali d’inflazione. Non è la Bce da criticare, almeno non solo, ma l’incapacità dei politici italiani a produrre riforme.

 

In tutto questo quadro il Pd ha votato Enrico Letta presidente del Consiglio, ossia il suo esponente più montiano. Difficile da capire la sinistra (?) del Pd. Non vota Marini per timore di un governo col Pdl e poi vota Napolitano, è fortemente critica verso le politiche di Monti e poi vota Letta. Viene da chiedersi se sanno quello che vogliono, se credono veramente a quello che dichiarano o se sono sempre in fase di propaganda.

 

C’è un filo (rosso, nero o bianco come si preferisce), che lega i provvedimenti sulla crescita di Tremonti, Monti e Letta (decreto del fare): sono tutti a costo zero e con limitate compensazioni tra entrate e uscite. Non è lo Stato che fa la crescita, affermava Tremonti criticato da Monti, salvo poi quest’ultimo con Passera ripetere le stesse cose (confrontate le rispettive interviste all’epoca dei provvedimenti): lo Stato, data l’assenza di risorse, non può che limitarsi a modificare le regole, a rendere il sistema più propizio agli investimenti privati e così via. A furia di provvedimenti sulla crescita a costo zero e di provvedimenti su tasse e tagli di spese a costo alto si è così arrivati all’inizio del 2013 al settimo calo trimestrale consecutivo del Pil. Il decreto del fare e quello sulle semplificazioni si muovono su questa linea in attesa delle famose flessibilità del 2014.

Per ora il governo delle larghe intese si è specializzato nel rinvio. Rinviate l’IMU, la Tares, l’aumento dell’Iva e l’applicazione della Tobin tax.

 

E’ incredibile che con 670 miliardi di spesa pubblica corrente, al netto degli interessi sul debito pubblico, si sia dovuto ricorrere alla tassazione delle sigarette elettroniche e all’aumento degli anticipi Irpef, Ire e Irap per finanziare lo slittamento di tre mesi dell’aumento dell’Iva; per gli altri mesi fino alla fine dell’anno cosa ci s’inventerà? E’ incredibile che in questa situazione i governi Monti e Letta abbiano accettato supinamente le sentenze della Corte Costituzionale che hanno eliminato i contributi di solidarietà richiesti ai dirigenti pubblici e alle pensioni più alte con restituzione di quanto già incassato. Non si tratta di discutere il merito delle sentenze, ma semmai di estendere a tutti i redditi quel contributo per superare l’incostituzionalità rilevata dalla Corte.

 

Qualcuno si ricorda che ai pensionati medi è stata richiesta una riduzione permanente di 1.200 euro lordi annue dal 2013, che i dipendenti pubblici hanno le retribuzioni bloccate dal 2010 con una perdita in termini reali netti che arriva all’8%, mentre i contribuenti con redditi alti non hanno subito alcun intervento sulla tassazione diretta?

Un governo di coalizione dovrebbe trovare la sua giustificazione nella capacità di affrontare quelle riforme che i singoli partiti o maggioranze più ristrette non sono in grado di affrontare. Riforme sociali, economiche e politiche. Queste riforme non sono certo nelle possibilità del governo Letta con buona pace del presidente Napolitano. Di rinvio in rinvio si spera di superare l’estate e di avere poi qualche aiuto dall’Europa. Non vi sono accordi su riforme del welfare, su liberalizzazioni e su riforma del fisco, non vi è accordo sulla riforma elettorale, vi è solo un accordo di metodo sulla riforma della Costituzione. A che serve allora questo governo?

Mercoledì, 3. Luglio 2013
 

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