America, gli ideologi della non-ideologia

Obama e le persone che ha scelto per il suo staff, si continua a ripetere, sono pragmatiche e aliene da ogni ideologia. E' davvero così?Anche negli Usa alcuni intellettuali avanzano parecchi dubbi

Sono ormai innumerevoli gli osservatori che in America battono il chiodo fino ad arroventarlo: le scelte che sta facendo Obama per il suo gabinetto e per il suo staff “non sono ideologiche ma pragmatiche”. E da noi scimmiottano, "perché lo dicono tutti in America". Le scelte della segretaria di Stato, Hillary Clinton, e del nuovo segretario al Tesoro, Timothy Geithner, “suggeriscono che Obama si prepara a governare dalle posizioni del centro-destra del suo partito, circondandosi di gente pragmatica e non di ideologi”, appunto. La citazione è dal New York Times, 22.11.2008, D. Sanger, Obama Tilts to Center, Inviting a Clash of Ideas  (Obama si sposta a destra, e invita un confronto di idee). (Non si capisce proprio perché, però, non si potrebbe avere lo stesso confronto/scontro di idee spostandosi invece a sinistra…boh!).

L’ideologia della non ideologia, insomma. Come quella della neutralità della scienza… Vere, ma sciccosamente e furbescamente false, insieme. Anche se pencolano a favore di interessi potenti, stradifesi e straradicati, si presentano in modo accorto e nascosto, proprio con la negazione dell’ideologia, a sponsorizzare una certa agenda politica ed economica, e non un’altra, sotto il manto del pragmatismo, talmente virtuoso e sensato che contro gli si schierano solo… gli ideologi.

Si dà, però, che in politica la fine dell’ideologia è tanto alle porte quanto lo è stata per pochi anni la fine della storia… Solo che, con la fine dell’ideologia, il rispetto e la deferenza per il potere delle corporations e di quelli che noi chiamiamo i “poteri forti” non sono ovviamente più ideologiche. Infatti, al sistema bancario, gli aiuti sono subito arrivati e in pratica senza condizioni; di aiuti a consumatori indebitati e produzioni in difficoltà si parla solo ora, dopo resistenze enormi e non del tutto superate in nome della libertà del mercato  - che vale – varrebbe… – dunque per le fabbriche d’auto ma non per le banche.

E il credo diffuso – tra tutti gli americani, Obama compreso in ultima analisi – sul diritto dell’America ad usare la propria forza nel mondo – resta quello che è dalla dottrina Monroe in poi, in nome dell’“eccezionalismo” americano, della propria missione salvifica sul pianeta, unica almeno dalla fine del leninismo e della rivoluzione da esportare nel mondo: solo un po’ più soggetto alla valutazione di costi e benefici, forse, e di credibilità. Ma anch’esso, chiaramente – probabilmente con Obama come sotto Bush – non è considerato un’ideologia.

Purtroppo – e chi scrive lo dice con qualche esitazione, vista la stima che porta all’autore che si appresta a citare – anche gente sempre attenta e ben consapevole della trappola dell’"ideologia della non ideologia" ci casca. Parliamo dell’ex ministro del Lavoro della prima amministrazione Clinton, un grande accademico come Robert Reich, capace di andarsene nel secondo mandato di Clinton perché vedeva avanzare in lui proprio il pragmatismo del moderatismo economico e l’abbandono dell’impegno sociale (che cominciò allora e Bush ha poi esasperato a sistema).

Reich ha scritto che tutti i membri dello staff economico di Obama – e ha citato proprio il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, e l’ex segretario al Tesoro di Clinton, Lawrence Sunmmers – “sono pragmatisti. Tra i media c’è chi li ha chiamati ‘centristi’ e chi ‘di centro-destra’. Ma, in realtà, sono gente notevolmente libera da preconcetti di ordine ideologico… Abbiamo bisogno di competenza e secondo me Obama non avrebbe potuto designare un gruppo più competente di questo” (Democratic Underground, 22.11.2008, R. Reich, How Obama is Already Taking Charge - Come Obama sta già prendendo le redini).

Bè,… la competenza va benissimo. Ma “senza preconcetti ideologici”? Geithner e Summers? Questa è la gente (CEPR, 24.11.2008, M. Weisbrot, The Economy and Transition - L’economia e la transizione) che “nel 1997 aiutò a precipitare la crisi finanziaria asiatica premendo perché (in particolare il Fondo monetario internazionale, n.d.r.) obbligasse i governi della regione a deregolamentare i flussi finanziari internazionali, cioè la causa principale della crisi (di oggi). Allora, proprio loro insisterono perché ogni piano di salvataggio passasse attraverso il FMI, ritardando così ogni aiuto finché la maggior parte del danno era già stata fatta. E poi condizionarono gli aiuti a una serie di condizionamenti, appunto, dannosi per tutti quei paesi”: tipo tagli al già scarso welfare ed ai sussidi più elementari di Stato a favore dei più poveri… In nome, proprio, dell’ideologia del libero mercato.

Del resto, Geithner aveva lavorato fino ad oggi in strettissimo contatto e cogestito col Tesoro, da presidente della Fed di New York, il piano di salvataggio di Paulson, che, a prescindere da ogni altra “colpa”, ha teso anzitutto a privilegiare con montagne di dollari di spesa pubblica le banche piuttosto che l’economia reale. E da dieci anni ha, comunque, le mani in pasta nelle cose del Tesoro: proprio nelle scelte economico-finanziarie di Bush. Anche se, di recente, è stato uno di quelli che contano ad insistere maggiormente, anche se per ora genericamente, sulla necessità di ri-regolamentare i mercati finanziari.  

Quanto a Larry Summers, dopotutto, che sicuramente è una delle intelligenze accademiche più brillanti – e controverse – d’America, va detto che è anche un esperto tra i più testardamente restii a riconoscere i propri errori. Non c’era niente di sbagliato, ha sostenuto per anni – ma anche lui da qualche tempo, senza proprio dirlo, sta rivedendo le sue posizioni ultraliberiste – nel gonfiarsi della bolla speculativa di Borsa dei primi anni 2000; né nell’ignorare, anzi nel negare, le possibili conseguenze della bolla edilizia; tanto meno nel sostenere l’opportunità di un dollaro superforte, anche a fronte di un buco commerciale spropositato; e/o nel propagandare anche lui – e con grande forza – l’assoluta giustezza della deregolamentazione della finanza internazionale.

Quando a maggio del 1998, la Commissione federale di controllo della Borsa, prima di procedere alla liberalizzazione chiesta dall’allora ministro del Tesoro, Robert Rubin, e sostenuta con passione dalla Federal Reserve di Alan Greenspan, chiese a una serie di esperti una valutazione sul rischio presentato dai derivati, Summers che era allora vice segretario al Tesoro attaccò l’irresponsabilità della Commissione stessa per aver “gettato di fronte al Congresso l’ombra del dubbio di qualche possibile incertezza regolatoria su quello che, invece, è un mercato fiorente e importante come quello dei derivati” (Washington Post, 15.10.2008, A. Faiola, E. Nakashima e J. Drew, What Went Wrong - Cosa è andato male).

Robert Kuttner, condirettore della rivista American Prospect, che ha un orientamento esplicitamente di sinistra e ha sostenuto decisamente Obama, è uno dei pochi a dichiarare la sua ideologia, cioè il suo essere di parte: dalla parte di chi in America lavora e fatica, classe operaia e classe media, diremmo noi. Ora, annota Kuttner, “quello che mi preoccupa è che nel gruppo più influente di consiglieri economici non ce ne sia uno solo al di fuori del club” degli amici e dei protetti di Robert Rubin, l’ex ministro del Tesoro di Clinton e grande banchiere di professione (perciò uno, di questi tempi, di cui di per sé si farebbe bene a fidarsi poco).

“Dov’è la diversità di opinioni in questa squadra economica?”, si chiede Kuttner. Mentre il suo collega all’EPC, Jared Bernstein, sottolinea che però, negli ultimi tempi, “le sue opinioni su cose come il commercio, la sperequazione dei redditi, gli interventi di spesa pubblica a stimolo dell’economia si stiano riavvicinando alle nostre”, più progressiste (cit. in New York Times, 24.11.2008, J. Calmes, Rubinomics Recalculated - La rubineconomia ricalcolata).

La verità di fondo è che l’ideologia della non ideologia è un’ideologia come tutte le altre. E’ questione di onestà intellettuale. Nessuno può pretendere di fare pipì su qualcuno e convincerlo che sta solo piovendo… No, we cannot! Neanche Obama può.

Martedì, 2. Dicembre 2008
 

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